50 anni di Sturmtruppen
Vestono di verde, ma non sono ambientalisti. Indossano elmetti e grossi scarponi da battaglia, anche se si avventurano raramente fuori dalle loro trincee. Maneggiano con nonchalance fucili e mitragliatrici in attesa di un nemico invisibile che non si palesa mai. Poco importa la vostra data di nascita, sicuramente avete già incontrato questi strani soldati in tv, in edicola o sulla copertina di qualche diario scolastico. Le Sturmtruppen rappresentano ormai una pietra miliare del fumetto italiano. A maggior ragione oggi, nel loro cinquantesimo compleanno.
È proprio per festeggiare le strisce antimilitariste più irriverenti di sempre che Bologna ospita, a Palazzo Fava fino al 7 aprile, l’esposizione «Sturmtruppen. 50 anni». Ripescate dall’Archivio Bonvicini, le circa duecento opere esposte, perlopiù inedite, ci riportano indietro, al 1968, quando, durante una cena a base di gnocco fritto, il 27enne modenese Franco Fortunato Gilberto Augusto Bonvicini (in arte Bonvi) imbastisce la prima di 5.865 microstorie ambientate durante la Seconda guerra mondiale (l’artista continuerà a disegnarle per venticinque anni).
Come attori delle sue gag, Bonvi ingaggia uno sgangherato plotone di soldaten tedeschi, specchio di un’umanità schiava dei propri vizi e delle proprie paure. Un’umanità quanto mai vicina a quella contemporanea, che condanna a parole la cieca violenza ma che, sotto sotto, non sa (o forse non vuole) davvero liberarsene.
Siamo tutti un po’ soldati
È un mercoledì mattina come un altro in via Manzoni. Anche oggi Palazzo Fava si è svegliato al suono delle sirene e delle mitragliate sparate a ripetizione da un altoparlante all’ingresso. I primi visitatori della giornata – un papà con le sue due bambine – ascoltano e ridono di gusto. Vengono da Firenze per incontrare le «Sturm». Perché, sentenzia il capofamiglia, «per spiegare la guerra ai ragazzi non c’è niente di meglio di una vignetta umoristica!».
Mentre i tre avventori si fermano al piano terra per qualche selfie in sella alla Zündapp KS 750 esposta (motocicletta tedesca prodotta durante la Seconda guerra mondiale per la Wehrmacht), saliamo i quarantuno scalini che ci separano dal piano nobile dell’edificio cinquecentesco. Giunti a destinazione, rompiamo subito il ghiaccio nell’universo di Bonvi davanti alla striscia numero uno delle Sturmtruppen. «R-Riing». Suona il telefono nell’ufficio di uno scocciato capitanen. «Come? Sì! Le munizioni bastano… vanno benissimo così! Non ne voglio più! Quelle che ho sono fin troppe!» taglia corto guardando fuori dalla finestra i suoi sottoposti che si passano i proiettili in un crescendo di Danke, Bitte ripetuti fino alla nausea.
La guerra è prima di tutto assurdità per Bonvi. E il modo migliore per combatterla è screditarla a suon di risate, mettendo in luce tutti i controsensi che la contraddistinguono. Al nostro prode fumettista non servono molti mezzi per compiere l’impresa: giusto qualche matita, una penna, un pennarello nero. E poi una lametta per affilare la grafite, una boccetta di inchiostro, un compasso e le immancabili sigarette. Ecco approntato il tavolo da lavoro di Bonvicini, riprodotto in un angolino attiguo alla prima sala della mostra. Alla nostra destra uno schermo mostra l’artista all’opera. «Non è vero che per creare un personaggio si debbano fare prove su prove – spiega Bonvi –. Secondo me un personaggio nasce di getto nella mente del disegnatore». Non ci resta che uscire dal rifugio del maestro ed esplorare il suo universo di carta.
Prossima tappa è la sala Giasone, rivestita per l’occasione con pannelli giganti che riproducono l’habitat delle Sturmtruppen. Campi desolati, cumuli di terra, muretti crollati e metri di filo spinato. Al centro tre ipotetiche trincee in rete metallica custodiscono alcune strisce originali suddivise in nuclei tematici. Tra soldaten che gattonano col fucile in mano, altri che stendono il bucato e altri ancora che si succhiano il pollice, Bonvi descrive uno spaesamento imbarazzante. La maggior parte dei militari ignora i motivi che l’hanno portata a imbracciare il fucile. Non sa nemmeno riconoscere un amiken da un nemiken ed esegue passivamente gli ordini senza farsi domande. «Io non penso, obbedisco» chiosa un militare all’altro.
Che fine ha fatto la responsabilità delle proprie azioni? Immerse in una guerra continua, le Sturmtruppen sono prigioniere del loro stesso ruolo. Nessun futuro di pace e libertà le attende all’orizzonte. Ma anche la più misera delle esistenze richiede prospettive, reali o immaginarie che siano. Ecco dunque il soldato che parla con l’amico invisibile, o quello che, gessetto alla mano, disegna una strada sul muro e corre a gambe levate oltre i mattoni. «La vita – diceva Bonvi – è come una sterminata caserma, quindi con i suoi capi e le sue regole dettate da antichissime convenzioni: da una parte i graduati, dall’altra la truppa». Dal particolare all’universale il passo è breve. E l’immedesimazione pure. «Siamo tutti un po’ come dei soldatini – spiegava ancora l’artista –. Se le mie strisce sono pubblicate dappertutto (da “Paese Sera” a “La Gazzetta dello sport”), evidentemente questo messaggio è recepito».
I molti volti dell’artista
Il Bonvi-tour prosegue attraverso le sale di Palazzo Fava con una digressione sul rapporto che lega l’artista a Bologna. Nella città il maestro ambienta le strisce Incubi di provincia (dalla fine degli anni ’60), apre lo studio di via Rizzoli (da metà anni ’70), scrive per «Il resto del Carlino», entra in consiglio comunale (dall’85 all’87) e, infine, muore investito da un’auto pirata nel ’95. Superate le testimonianze (strisce, articoli, fotografie) della sua versatilità, torniamo, con la sala successiva, a seguire le vicende dei nostri cari soldaten. Esaminati gli storyboard, i libri e gli album racchiusi in una lunga vetrina centrale, ora tocca alle pareti.
Di nuovo incrociamo il sergenten, il capitanen, il cuoken e il tenenten. Mentre un improbabile doktoren rincorre il suo paziente con una siringa da cavallo e somministra cianuro al posto della corretta medicina (riferimento alla malasanità), echeggiano nella mente le parole di Bonvi a proposito del successo raggiunto dalle sue strisce: «L’intuizione geniale delle Sturmtruppen sta nel fatto che si tratta di un fumetto corale, senza personaggi fissi». Proprio questa elasticità ha permesso al maestro di conquistare tutte le generazioni, creando una satira asciutta e intelligente, che resta al proprio posto e non scende mai in politica.
Glielo riconosceranno in molti. Dal collega Luciano Secchi (in arte Max Bunker) a Vasco Rossi. «Bonvi era un fumettista rock. O meglio, una rockstar del fumetto – ha dichiarato il cantante –. E le Sturmtruppen sono state la sua Opera rock. Per la sua capacità straordinaria di aver creato un linguaggio nuovo e universale». Non stupisce, dunque, la sfilza di premi collezionati da Bonvicini (su tutti, il Prix Saint Michel alla Fiera internazionale del libro nel 1973 e il Premio Andersen nell’89). Tanto meno la volontà dell’Archivio Bonvicini di restaurare e colorare digitalmente tutte le strisce in una complessa operazione durata un anno.
In mostra c’è spazio anche per questo restyling (raccontato in un video), come pure per le vignette di Cattivik (a cui Bonvi lavora dal ’69), per le Storie dello spazio profondo (su testi dell’amico Francesco Guccini), per Nick Carter (’72) e L’uomo di Tsushima (’78). Sono ormai lontani i tempi in cui il giovane Franco disegnava soldatini sulle tavole delle osterie modenesi. Nonostante la fama, comunque, il maestro è riuscito a preservare la sua autenticità.
All’uscita della mostra il grosso book a disposizione dei visitatori ce lo conferma nuovamente. «Quanti ricordi» scrive uno. «Grazie Bonvi per farci sorridere ancora!» gli fa eco un altro. Diamo le spalle a Palazzo Fava e ci rituffiamo in via Manzoni. Una sirena, ora più familiare, irrompe un’ultima volta nei nostri timpani. Poi si placa e lascia spazio a una voce: «Mentre il silenzio scende sul campo di battaglia le eroiche Sturmtruppen si apprestano al meritato riposo – si congeda il narratore –, riusciranno gli invitti soldati a sopravvivere alla loro guerra perenne? Lo sapremo alla prossima battaglia».
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