Al cuore della legge
Domenica 2 aprile 2006, in tutte le chiese della Locride tuonano le parole del vescovo GianCarlo Maria Bregantini che sanciscono la scomunica – proprio quella che ci spaventa a nominarla – di «coloro che fanno abortire la vita dei nostri giovani, uccidendo e sparando, e delle nostre terre, avvelenando i nostri campi», riferendosi alla distruzione da parte delle cosche mafiose del territorio di alcune serre della cooperativa di giovani lavoratori del Progetto «Policoro», un progetto voluto dalla stessa Conferenza dei vescovi italiani.
Sant’Antonio, per la verità non unico tra i predicatori di ogni epoca, è sulla stessa linea e constata la solita stridente deriva antilegale: «I ricchi e i potenti di questo mondo sottraggono ai poveri la loro misera sostanza, conquistata con il sangue, con la quale in qualche modo si proteggono».
E in queste parole ci sta tutta la situazione dei giovani calabresi e non solo di essi. Perché proprio dai pulpiti deve venire la condanna dell’illegalità mafiosa frutto di una «giustizia malata»? Perché formare alla «giustizia giusta» è anche compito dell’evangelizzazione, per una retta e integrale comprensione delle esigenze della moralità cristiana, come suggerisce ancora il nostro Santo nella sua predicazione in proposito: «Fanno parte della giustizia: il timore di Dio, il rispetto della religione, la pietà, l’umanità, il godere del giusto e del buono, l’odio del male, l’impegno della riconoscenza».
Ciascuna di queste parole è parimenti importante e tutte insieme dicono che la vera giustizia parte dalla conversione del cuore, come più avanti lo stesso Santo spiega: «La vera religione consiste in due cose: nella misericordia e nell’innocenza», cioè nel porre un presupposto non negoziabile.
Come fece, per esempio, Rosario Livatino martire d’oggi della carità nella giustizia, il quale, all’inizio delle sue agende di lavoro, usava scrivere: STD , cioè Sub Tutela Dei, sotto lo sguardo di Dio. Per dire, anche con il proprio sangue, il legame vitale tra l’idea di giustizia e una fede come semplice ed esigente «obbedienza» al Vero.
Ma il senso della giustizia che, seguendo l’indicazione del Santo, deve partire dalla «misericordia» e dall’«innocenza» arricchisce e completa anche il significato stesso del termine «legalità» (che è il rispetto della legge e di tutte le leggi) e lo rende più umano e custode di una migliore cultura del bene comune, che non rinunci mai ad «attribuire a ognuno l’onore, e il credito che gli spetta».
Restando nella bella Calabria, il pensiero va, allora, all’esperimento di nuova accoglienza di uomini e donne provenienti da altri Paesi voluto dalla comunità civile di Riace. Mimmo Lucano, il sindaco, potrà essere stato talvolta troppo corrivo e generoso nei processi di inclusione di stranieri, ma siamo certi che la «legalità» che lo ha stroncato sia stata più giusta di lui?
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