Il lavoro liberato

Oggi in Calabria buona parte del lavoro è in mano alla ’ndrangheta ed è sottopagato. In occasione del progetto Antonio 20-22, stiamo raccogliendo fondi per sostenere borse lavoro per i giovani, per contribuire a creare una cultura del lavoro «libero».
17 Febbraio 2021 | di

Lavorare e ricevere una giusta ricompensa, nella Piana di Gioia Tauro e in vaste aree del Sud Italia, non rappresentano un diritto come invece prevede la Costituzione, ma un privilegio. Vuoi un lavoro? Bene, devi accettare condizioni capestro, come quella di ricevere la metà del compenso stabilito dal contratto. Per eludere l’obbligo di tracciabilità dei pagamenti, basterà andare a riscuotere la somma e poi restituir­ne la metà in nero al padrone. Poveri e sfruttati di fatto, ma ben più ricchi per il fisco. Una condizione da semiliberi. «Nella Piana buona parte dei posti di lavoro – afferma Michele Vomera, diacono e responsabile dell’associazione Il Segno dei Tempi, braccio operativo della Caritas diocesana – è gestito dalla ’ndrangheta, la restante dal politico di turno. Il merito non esiste, né la libertà d’impresa. Se, per esempio, voglio aprire un supermercato, prima di effettuare una selezione devo dare la precedenza alle persone “consigliate” dai potenti».

Le nefaste conseguenze sono su più livelli: il deserto economico, lo sfruttamento dei lavoratori e, l’ultima, la più insidiosa, l’annientamento della dignità. S’insinua la percezione, atroce, di essere figli di un dio minore, in una terra desolata, invisibile agli occhi di chi dovrebbe vedere e agire. Un veleno soprattutto per i giovani, che porta a due epiloghi: l’emigrazione o la resa incondizionata. Per i più fragili l’unica via resta la manovalanza nella criminalità organizzata. La pandemia ha peggiorato il quadro e nel buio che si è creato c’è bisogno di una luce, pur piccola, che indichi una strada. 
Anche per questo, grazie ad Antonio 20-22, l’evento antoniano che coinvolgerà Gioia Tauro nei prossimi mesi, i lettori potranno sostenere, tramite Caritas sant’Antonio, un progetto concreto a favore dei giovani calabresi. A organizzarlo proprio l’Associazione Il Segno dei Tempi. Si tratta di creare occasioni di lavoro libero attraverso borse lavoro, assegnate a ragazzi meritevoli ma di scarsi mezzi, che non hanno o non vogliono avere un padrino. «Il progetto, iniziato grazie ai fondi dell’8 per mille e condotto in collaborazione con il progetto Policoro – spiega Michele –, si basa sulla disponibilità di alcune imprese a inserire per sei mesi i ragazzi nei loro organici. Il fine è duplice: offrire ai giovani una formazione sul campo e, ove possibile, la possibilità di entrare stabilmente in azienda, ma, soprattutto, diffondere la cultura di un lavoro libero e giustamente remunerato».

Caritas sant’Antonio entrerà in questo progetto anche grazie alla collaborazione con Antonino De Masi, uno dei più geniali e innovativi imprenditori della Piana, produttore di macchine agricole, da molti anni sotto il mirino della ’ndrangheta. «Accetto volentieri di entrare nel progetto – afferma –. La situazione dei giovani in Calabria è di una gravità assoluta e non se ne esce senza l’impegno di tutti». Per De Masi, però, ci vuole una svolta culturale che deve venire innanzitutto dal territorio, perché qui lo Stato è assente: «Che senso ha avere eccellenze nelle università del Sud, se i loro saperi non diventano patrimonio per il territorio? Che senso ha aspettare la soluzione dall’alto, il posto fisso o il padrino, se i calabresi non mettono in gioco le loro abilità e creatività?». 

De Masi è figlio di questa terra, conosce il senso di apatia dei ragazzi di oggi: «Mio nonno era un “massaro” (mezzadro), mio padre ha fatto la gavetta. Il complesso d’inferiorità ha tormentato la mia vita, ma ho deciso di combatterlo, studiando, mettendomi in gioco. Ancora oggi investo continuamente per rendere la mia azienda competitiva sul mercato, per stare sempre un passo avanti agli altri. Lotto ogni giorno per rimanere orgoglioso di essere calabrese». Un orgoglio che gli costa caro, che lo costringe a una vita e a un’azienda sotto scorta. Eppure la sua capacità di visione, di mettersi in gioco, non viene mai meno: «L’azienda non è di un singolo, ma di un territorio. È figlia di un sistema».

Per rendere questo concetto evidente, De Masi sta trasformando la società in società per azioni: «Poi aprirò l’azionariato ai miei dipendenti e, in seguito, al territorio. La mia azienda sarà di tutti e tutti sentiranno la responsabilità di proteggerla». La legalità si costruisce praticandola, bonificando il proprio metro quadro, costruendo mattone dopo mattone un nuovo sistema. Sant’Antonio, francescano, difensore dei poveri, sarebbe felice oggi di essere tra i calabresi.

Segui il progetto su www.caritasantoniana.it

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Data di aggiornamento: 20 Febbraio 2021
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