Angeli al lavoro
Nella Bibbia, molte chiamate decisive avvengono mentre le persone stanno lavorando. «Il Signore mi prese mentre seguivo il gregge, e mi disse: “Va’, profetizza al mio popolo”» (Amos 7,15). Gedeone stava lavorando quando lo raggiunse l’angelo del Signore: «Gedeone, figlio di Ioas, batteva il grano nel frantoio» (Giudici 6,11). Saul stava inseguendo le sue asine smarrite quando Samuele lo incontrò e lo unse per diventare il primo re d’Israele (1 Samuele, 9). L’angelo Gabriele non apparve a Maria nel tempio ma a casa sua, mentre, forse, stava facendo i suoi lavori ordinari di giovane donna. Gli apostoli vennero chiamati mentre ritiravano le reti, mentre lavoravano. Anche l’incontro decisivo della vita di Mosè avvenne durante un ordinario giorno di lavoro: «Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb» (Esodo 3,1). Mosè era un uomo straniero che lavorava per vivere. Come tanti uomini del suo tempo e del nostro. Ed è dentro questo lavoro umile e dipendente che accade l’evento che cambierà la sua storia e la nostra.
Questa enorme stima che la Bibbia ha del lavoro ci deve dire molte cose, tutte belle. Innanzitutto ci ricorda che per le teofanie non ci sono luoghi spirituali migliori di una barca, una cucina, un roveto, un viaggio per riportare a casa le asine. Di un guado notturno di un fiume, del deserto, della strada per Damasco, di una chiesetta diroccata nei pressi di Assisi. E se oggi vogliamo avere nuove annunciazioni, nuovi incontri con Dio, dobbiamo aspettarli in un’officina, nelle corsie degli ospedali, tra i banchi di scuola.
Sono gli idoli che «funzionano» soltanto nel loro territorio sacro recintato di cui sono prigionieri; il Dio biblico non è un idolo anche perché è libero dai nostri luoghi religiosi, si sente scomodo nei templi, gli piace l’aria aperta, ama condividere la strada con noi, bazzicare i luoghi del lavoro perché sono i luoghi della vita. Noi invece continuiamo a cercare Dio nei posti dove noi abbiamo deciso debba trovarsi, e non lo troviamo, perché ci aspetta, laicamente, nei crocicchi delle strade polverose di tutti. Ci sono troppi atei, fuori e dentro le religioni, che non conoscono Dio perché, semplicemente, lo hanno cercato nei luoghi religiosi dove non si trovava.
Gli appuntamenti decisivi della vita ci aspettano nei luoghi del nostro vivere ordinario, e quindi anche nel nostro lavoro quotidiano. Possiamo partecipare a mille liturgie, fare dieci pellegrinaggi e cento ritiri spirituali, ma gli eventi spirituali che veramente ci cambiano e permangono nell’anima per tutta la vita accadono nella quotidianità, quando, senza cercarla né attenderla, una voce ci chiama per nome nelle condizioni umili del vivere. Lavando i piatti, correggendo un compito, guidando un tram. Ci siamo salvati da autentiche morti dell’anima perché sapevamo ancora preparare bene un pranzo, perché abbiamo curato per anni una pianta in giardino, o perché non abbiamo dimenticato una ultima preghiera e l’abbiamo recitata ogni sera. E quante volte dopo lutti, abbandoni, delusioni, separazioni, siamo tornati in ufficio o in negozio e abbiamo sentito dentro che la vita ricominciava, semplicemente riprendendo il nostro solito lavoro. Fratello lavoro.
È questa la grande laicità della vita e della fede biblica, che ha un’idea talmente grande e degna dell’uomo da farlo dialogare con gli angeli nei campi, nei laboratori, nelle botteghe artigiane, rendendo così i luoghi della vita e del lavoro veramente e altamente spirituali. In questo senso il lavoro è autenticamente «vocazione».
E allora quando a una persona, soprattutto se è giovane, non è consentito, per qualsiasi ragione, di lavorare, tra le molte cose splendide che gli vengono negate, gli si riducono i luoghi dove poter incontrare gli angeli e dialogare con l’infinito.
@bruniluis