Il miraggio e il sogno
«Fratelli carissimi, con vivo desiderio vorrei indossare il saio del vostro ordine, purché mi promettiate di mandarmi, appena sarò tra voi, alla terra dei Saraceni, nella speranza di essere messo a parte anch’io della corona insieme con i santi martiri» (Assidua 5,5)
I giovani con problemi di droga che chiedono di entrare in comunità iniziano un viaggio, un «viaggio» finalmente degno di questo nome. A farli decidere è il miraggio di tornare liberi e di riavere ai propri e altrui occhi una fiducia ormai spenta. E sanno, con trepidazione, di non essere in grado di conoscere i passi successivi che dovranno fare, se non che sarà necessariamente «dura»: dovranno affidarsi a una strada in salita, a guide adatte, a una compagnia nuova e alle sorprese che un lavoro con se stessi sempre riserva. Un cammino che dovrà continuare oltre il programma terapeutico, in una nuova esigente qualità di vita senza ritorni. I risultati? Un proverbio dice che nei deserti nessuna carovana ha mai raggiunto un miraggio, ma anche che, senza un miraggio, nessuna carovana mai sarebbe partita. Mettersi in cammino come vocazione e provocazione: «Caminante, no hay camino: se hace camino al andar» (Viandante, non esiste la strada, la fanno i tuoi passi) ci ricorda Antonio Machado; ed è così per tutti, non solo per i nostri giovani.
Anche sant’Antonio fece dell’andare lo stile dei suoi 36 anni di vita, quindici in famiglia, nove tra Lisbona e – centosettanta chilometri più lontano – Coimbra, e poi i dieci anni da francescano sulle strade di mezza Europa. Presso i canonici regolari il giovane Fernando/Antonio aveva ben assimilato le parole della Regola di sant’Agostino: non siate «come servi sotto la legge», ma vivete «come uomini liberi sotto la grazia» (cfr Rm 6,14), pertanto pronti a «muoversi» ai segnali della Grazia. E i frati minori lo attraggono perché vivono sulle strade della gente: dei poveri, degli studenti delle vivaci nascenti università, dei pellegrini di Terra Santa e di Santiago, dei mercanti che risvegliano l’economia; e tutti sulla scia di un qualche «miraggio».
Il miraggio – molto realistico – di frate Antonio ha i volti di Berardo, di Ottone, di Pietro, di Accursio, di Adiuto, frati francescani che sono stati appena uccisi per Cristo nel Marocco: «Oh, se l’Altissimo volesse far partecipe anche me della corona dei suoi santi martiri!» (Assidua 5,2). Sappiamo del suo rapidissimo cambio di comunità religiosa, del suo breve «noviziato» tra i minoriti, della sua partenza di slancio e del suo approdo a Marrakesh, pronto a cimentarsi per Cristo in un dialogo con i musulmani, forse in lingua araba, cosa non strana per un lisbonese bilingue e intraprendente come lui. Poco importa se la malattia spegnerà i suoi progetti. Anzi, la bruciante delusione del Marocco gli aprirà altre strade che non avrebbe mai immaginato, le più avvincenti. Davvero ciò che conta è la decisione di partire. È camminando che anche i nostri giovani pian piano non si riconoscono più. Non è il «vissero felici e contenti», insulso, delle favole, ma il raggiungimento del «miraggio» che si è trasformato – per Grazia e per impegno – in un «sogno»; e i sogni non tradiscono perché vengono dal cuore.