Animali da circo
No, non è un film ciò che racconta l’autore in questo libro: «Animali da circo. I migranti obbedienti che vorremmo». È realtà toccata con mano da chi, come don Luca Favarin, prete della diocesi di Padova, attraversa i sentieri di esistenze difficili, quasi impossibili. Vite che si consumano ai margini di una società sempre più disattenta ed egoista.
Fondatore e presidente della Onlus «Percorso Vita», don Luca ha fatto della strada e di quanti la vivono l’habitat naturale per vivere fede e umanità. In questi anni è riuscito a mettere in piedi, con la sua energia contagiosa, una rete di accoglienza diffusa: circa 10 comunità e oltre 140 ragazzi. È un’esperienza cristiana che nasce dal basso, portata avanti da un prete intenzionato a seguire l’esempio di grandi figure di «di strada» dalla forza profetica: don Mazzi, Ciotti, Rigoldi, Benzi.
Tanti i viaggi compiuti da don Luca tra i poveri della terra. In Africa, principalmente, ma anche in America Latina, e sulle strade senza nome dell’emarginazione: i senzatetto, il mondo della prostituzione, gli immigrati giunti nel nostro Paese su un barcone fuggendo povertà e guerre. Paesi che il sacerdote padovano ha più volte visitato e dei quali fa una narrazione precisa. Non tanto dei luoghi, ma dell’esperienza umana e spirituale che ne derivano. Perché in quei luoghi si sente accolto. Non si sente per niente forestiero. Sensazione che, paradossalmente, avverte quando rientra in Italia «sulle nostre strade, camminando tra gente che non si saluta e nemmeno si guarda, dove l’indifferenza e l’ipocrisia sembrano essere nell’aria che si respira».
Don Luca ha imparato a conoscere, rispettare e amare i tanti fratelli che giungono fin qui in cerca di speranza e di futuro. «Quelli che nei telegiornali – scrive l’autore andando alla sostanza di questo suo libro – trattano come animali da circo, mettendoli in mostra quando sono violenti e nascondendoli quando non fanno nulla di interessante».
L’autore del volume propone, quindi, un approccio diverso: fare lo sforzo di entrare in relazione con le persone che «un inconscio millenario ci devia a considerare completamente altre da noi, appartenenti a un’umanità indistinta che in quanto tale ci esimerebbe da un rapporto paritario» .
«Harambèe»: è una parola africana che l’autore rilancia, uno stile di vita da far proprio: «Significa “insieme”. Ma è molto di più. Racconta la fatica di costruire, gli uni accanto agli altri, il cammino comune, e a volte è il lottare per un obiettivo condiviso. “Harambèe” è la prospettiva degli ampi orizzonti, senza barriere e senza confini, di colui, anzi di coloro, che a braccia aperte invitano, includono e non chiudono fuori o estromettono».