Bartali e Coppi: due campioni, due eroi civili

I due campioni del ciclismo sono stati l’esempio vivente di come si possa essere rivali senza essere nemici, rispettandosi e agendo con lealtà l’uno verso l’altro. Un’attitudine di cui oggi si sente la mancanza e che sarebbe urgente riscoprire.
09 Maggio 2025 | di

Il mese di maggio è, tra l’altro, il mese del Giro d’Italia: un evento che in tempi passati appassionava tutta la nazione, non solo giovani e tifosi, ma anche mamme, nonne, famiglie. Oggi il campo si è ristretto, il Giro è seguito con interesse solo dagli appassionati, ma è pur sempre un evento sportivo importante la cui eco arriva a tutti. Per la cronaca, l’edizione numero 108 si corre dal 9 maggio al primo di giugno di quest’anno, e la cosa curiosa è che la partenza e le prime tappe si svolgono nientemeno che in Albania. Poi la conclusione, anche in omaggio all’Anno Santo, avverrà a Roma. Il fascino del Giro, questa cavalcata di atleti che percorrono su biciclette oggi supertecnologiche monti e valli del Paese, sta anche nei ricordi che suscita. Ed ecco che la nostra memoria collettiva non può che ritornare a quei due giganti, quei due eroi che una settantina d’anni fa sono entrati per sempre nella leggenda: Gino Bartali e Fausto Coppi. E possiamo commuoverci senza vergogna nel loro ricordo, noi che viviamo oggi in un’epoca così disincantata. È bello pensare a questi due immensi campioni che si sfidavano per le strade d’Italia e d’Europa nel nobile sport della bicicletta, prima che anche il ciclismo venisse travolto dall’intrusione degli sponsor, dal dilagare degli anabolizzanti, dall’imperio del calcio che tutti gli altri sport ha travolto nella sua invasione dominatrice. 

Gino era un toscanaccio brontolone di Ponte a Ema, Fausto un chiuso, tenace piemontese di Novi Ligure. Tutti e due erano italiani e, in uno dei momenti più difficili della nostra storia, portarono alto il tricolore nel mondo. Non solo il Giro d’Italia fu teatro delle loro imprese. Se diamo un’occhiata retrospettiva appena al di là delle Alpi, rivedremo i momenti più alti dei loro trionfi in quella che tutti considerano la corsa a tappe più importante del mondo: il Giro di Francia, l’epico Tour de FranceGino, più vecchio, cominciò col vincere il suo primo Tour nel Trentotto. Stiamo parlando del Millenovecentotrentotto: un anno terribile per la storia del mondo, l’anno in cui anche l’Italia, per adeguarsi alla tragica, insensata alleanza con il nazismo tedesco, emanava le leggi razziali. Due anni dopo, a completamento della follia, l’Italia entrava in guerra. La Seconda guerra mondiale spezzò la carriera di Gino Bartali, che comunque continuò ad allenarsi, e mentre saliva e scendeva con la sua bicicletta per i colli della sua Toscana, rischiava la vita facendo il portaordini per la Resistenza: infilava nella canna della sua bici da corsa messaggi preziosi per tenere in collegamento le formazioni partigiane. 

Fausto, più giovane, quando venne la guerra stava appena incominciando a correre, aveva 20 anni, dovette lasciare i pedali per il moschetto. Anche la sua carriera rischiò di essere stroncata. Ma i nostri due eroi erano troppo grandi per farsi mettere da parte, anche da una guerra terribile, la più terribile della storia. Poi anche la guerra passò, e loro ripresero a pedalare da campioni. Nel Quarantotto Gino rivinse il Tour de France, ed è opinione comune che le sue memorabili galoppate sulle cime più impervie di Alpi e Pirenei siano servite a salvare l’Italia, che era sull’orlo di una rivoluzione dopo l’attentato a Togliatti; a farle trovare, nel nome dello sport, un’unità insperata. Addirittura, sembra che l’incitamento a vincere il Tour, quasi un ordine, gli sia venuto da una telefonata del nostro Primo Ministro che allora era Alcide De Gasperi, nella speranza che un evento sportivo importante placasse le tensioni popolari. E l’evento ci fu: l’insperata e trionfale vittoria di Bartali. Il suo giro d’onore in maglia gialla al velodromo del Parc des Princes conquistò non solo Parigi ma tutta l’Europa, e in particolar modo l’Italia.

L’anno dopo, nel Quarantanove, e poi ancora tre anni dopo, nel Cinquantadue, il tour lo vinse Fausto, ma fu come se lo vincessero tutti e due. Memorabile come si aiutarono, sbaragliando insieme gli avversari di ogni nazione. C’è una foto che è passata alla storia, dove si vedono i due, lungo una salita alpina, mentre si passano una borraccia d’acqua. Ma nessuno ha mai capito se fosse Bartali a passarla a Coppi o viceversa. Fratellanza, nel nome di un’unità più alta, di due grandi rivali che hanno fatto la storia dello sport. Due grandi che hanno vinto tutto. Anche la guerra. La coppia di questi due grandi rivali-amici ci offre l’esempio di come nella vita, non solo nello sport ma in ogni attività umana, il rivale non debba essere visto come un nemico. 

Non solo nello sport

Se osserviamo bene e diamo un’occhiata a certe pagine della storia, scopriamo come qualsia­si attività, dall’arte al commercio, dall’economia alla ricerca scientifica, ha ricevuto un contributo alla crescita proprio dalla rivalità tra personaggi emergenti. Ma ogni competizione pacifica, sportiva, artistica o politica che sia, non dovrebbe mai contenere nemmeno l’eco della parola odio. Nel nostro Rinascimento, celebre è la rivalità tra Leonardo e Michelangelo: due sommi geni, ma due mondi artistici lontanissimi tra di loro. Tutto legato alle sfumature, a quella tecnica che lui chiamava del «finito fumoso», Leonardo predilige, per dipingere, la luce del crepuscolo, la così detta luce «a cavallo». Michelangelo, al contrario, ama linee nitide e decise, illumina plasticamente le sue figure, che emergono dallo sfondo quasi trasformate in opere scultoree. I personaggi di Michelangelo in qualche modo «aggrediscono» lo spettatore, mentre quelli di Leonardo sono avvolti in un’atmosfera indefinita che ne accresce il misterioso fascino. C’è un divertente episodio a proposito della rivalità tra i due. Un giorno Leonardo, che era dotato di una straordinaria forza fisica, piegò in due un’asta di ferro. Poi per sfida la porse a Michelangelo chiedendogli di raddrizzarla. «E perché mai – rispose il Buonarroti – dovrei io raddrizzare quello che tu fai storto?».

Anche il teatro è luogo di rivalità che hanno per anni diviso e motivato gli appassionati. Tornando indietro di qualche decennio, c’imbattiamo nella rivalità artistica tra Maria Callas e Renata Tebaldi, due soprani al cui seguito si dividevano gli appassionati dell’opera. Eppure, anche dal mondo dei cantanti lirici ci arriva, sempre dando un’occhiata ai tempi passati, un simpatico esempio di come tre grandi rivali possano, unendosi, dar vita a momenti memorabili. Fino a qualche decennio fa tutto il mondo ammirava i concerti dei Tre Tenori. Tre grandi del palcoscenico lirico, Placido Domingo, Luciano Pavarotti e Josè Carreras, avevano saputo unire le forze delle loro interpretazioni per offrire al pubblico indimenticabili emozioni.

Ma nella storia e nella grande poesia epica c’è anche la guerra. E i documenti della storia, e della grande tradizione letteraria, ci fanno incontrare esempi di rivalità cruente, rivalità che inevitabilmente finiscono nel sangue, con la morte di uno dei contendenti. L’Antico Testamento ci consegna il duello tra Davide e Golia dove l’umiltà disarmata del giovanissimo eroe dall’aspetto gentile e dai capelli rossi trionfa sulla tracotanza smargiassa del gigante. Davide rifiuta l’armatura e la spada che Saul gli offre per affrontare il combattimento, è armato soltanto della sua fionda che nelle sue mani abili diventa un’arma infallibile e gli permette di abbattere il gigante. Poi si getta su di lui, e con la sua stessa spada gli taglia la testa. Ancor più crudele, nella letteratura classica, l’inarrivabile poesia epica di Omero ci fa vivere il trionfo spietato di Achille che, dopo averlo ucciso, trascina il corpo inerte di Ettore, il nemico vinto, sotto le mura di Troia davanti agli occhi sbigottiti di quelli che lo avevano amato.

Attitudine da riscoprire

Ma torniamo ai nostri due eroi iniziali, Gino Bartali e Fausto Coppi. È straordinario e confortante vedere come, pur nella loro interminabile gara a superarsi che ha tenuto avvinto l’interesse di milioni e milioni di ammiratori, ciò che ha trionfato è stata la lealtà del loro confronto e il loro reciproco rispetto. Sono due eroi non solo dello sport, ma anche della coscienza civile di noi italiani, che in quei momenti ci stavamo risollevando da un baratro di sofferenza nel quale le insensate decisioni di una dittatura ci aveva gettati. Anche grazie a loro, i tempi sono cambiati, la nostra convivenza di popolo è maturata verso una realtà più completa di vita democratica. E forse anche oggi, di fronte agli eccessi e alla degenerazione di una competitività che soprattutto in politica sembra quasi patologica, prezioso sarebbe l’esempio di altri due nuovi Gino Bartali e Fausto Coppi.

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Data di aggiornamento: 09 Maggio 2025
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