Bisogno di sole e di aria
«I religiosi sono raffigurati dal sole e dall’aria, dal “Sole” perché devono essere puri, fervorosi e splendenti; puri per la castità, fervorosi per la carità e splendenti per la povertà. Sono rappresentati dall’“aria”, perché devono essere aerei, cioè contemplativi» (Sant’Antonio, II di Quaresima)
«Tu sai chi sono i religiosi, i frati, le suore?». Dicono i sociologi che al giorno d’oggi a questa domanda quasi tutti i giovani (e pure molti adulti), rispondono con un «boh?!». Qualcuno potrebbe fare un’associazione mentale con il mitico fra Tuck socio di Robin Hood, qualcun altro magari ricorda una vecchia zia che in un certo monastero si dedicava al ricamo o a cucinare biscotti e altri ancora potrebbero associare i luoghi dove vivono i religiosi (abbazie e conventi) solo a turismo estivo, tisane beatificanti, liquori salvavita e creme di ogni tipo.
Se poi venisse chiesto «a che cosa servono veramente i religiosi» la reazione sarebbe un «boh?!» anche più forte e pronunciato senza imbarazzo alcuno. Del resto, le improbabili suorine della serie tv The New Pope sembrano voler insinuare nei telespettatori un «siamo come ci volete voi!», ed è, francamente, ben poco incoraggiante.
Come vedeva, invece, sant’Antonio di Padova i consacrati a Dio? Semplicemente come «sole» e «aria», due elementi che accendono la vita. Il Santo nei suoi Sermoni si esprime contro i religiosi fiacchi e falsi, specie se sono «prelati». Ma da ragazzo ha avuto la grazia di sognarli belli e da imitare e per questo volle esserne parte.
Il monastero agostiniano di San Vincenzo – ai margini della sua Lisbona – ebbe su di lui il potere di attrazione che hanno i luoghi «speciali», luoghi di trasparenza di Gesù Cristo, luoghi e persone che sanno rispondere alla domanda «dove sta la gioia?», come hanno chiesto, cantando, Le Vibrazioni nel corso del recente festival di Sanremo.
Io sono cresciuto accanto a un grande monastero di monache cistercensi, donne dalle vesti bianche e nere tra cielo e terra, a San Giacomo di Veglia (TV): per la gente un riferimento totale per consigli, «sfoghi», richieste di «miracoli». Sono vicinanze che segnano. Al mio paese tutti sanno a che cosa «servono» quelle monache: fanno parte del sole e dell’aria, sono il sole e l’aria.
Venendo alla Comunità San Francesco, dove oggi risiedo, mi chiedo: quando e in quale modo, noi religiosi, siamo aria e sole per i giovani che vivono con noi? Ho raccolto risposte differenti, ma che indicano una strada: «Quando fra Michele e fra Darwin parlano con noi…»; «quando fra Gabriele ci insegna, con molta pazienza, il canto…»; «quando fra Piero ci accompagna a un santuario dove prima non saremmo entrati manco per l’arte…»; «quando fra Thomas si diverte con noi al rafting…»; «quando la domenica fra Danilo predica con parole che capisco…»; «quando vedo i frati soffrire per la ricaduta o la perdita di una persona che la Comunità ha cercato in tutti i modi di aiutare...». Ecco, in questi momenti, qualcosa che si chiama «sole» e «aria» succede.
Tornando a me, fu proprio servendo la Santa Messa in quel monastero di cistercensi, così ricco di ispirazione, che incontrai i frati francescani, con nuovi orizzonti, e andai in quella direzione, seguendo le loro orme. Ma questa – come si dice – è un’altra storia.
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