Cambogia, la storia dimenticata

Per gli occidentali era un paradiso. Finché la guerra nel vicino Vietnam non fece saltare gli equilibri e favorì la salita al potere di Pol Pot e la discesa del Paese all’inferno. Viaggio nella storia di una nazione dilaniata.
20 Gennaio 2022 | di

Ci si aggrappa agli specchi opachi di una storia, che ancora Storia non è. Scene di un film: Urla del silenzio, il capolavoro del regista inglese Roland Joffé. Magistrali immagini che si inseriscono nel controluce di un popolo, cui fa eco la voce di Sydney Schamberg.

«Cambogia. A molti occidentali faceva l’effetto di un paradiso, di un mondo incantato, di un mondo misterioso. Ma la guerra nel vicino Vietnam fece saltare i suoi confini e presto le ostilità dilagarono nel suo territorio neutrale. Nel 1973 fui inviato quale corrispondente di guerra del “New York Times” in questo lontano settore di mondo. E fu qui, in questo Paese dilaniato dalla guerra tra le truppe governative e i Khmer Rossi, che conobbi la mia guida e interprete: Dith Pran, un uomo che doveva cambiare la mia vita, in un Paese che cominciai presto ad amare e a compatire».

All’alba del 17 aprile 1975 i Khmer rossi, dopo anni di lotta armata nelle campagne, entrarono a Phnom Penh. Un battaglione di giovani che nella vita avevano conosciuto solo guerra e atrocità dette inizio all’evacuazione dell’intera popolazione della capitale. I soldati del nuovo regime cercarono tra la gente ogni segno di agiatezza: chi indossava abiti di buona qualità o semplicemente chi aveva un aspetto intellettuale veniva tirato fuori dal gruppo e giustiziato sul posto a colpi di bastone.

L’evacuazione di Phnom Penh era vista come il primo passo verso l’ideale di una società comunista fatta di purezza rivoluzionaria e indipendenza nazionale. Gli ideali marxisti di Pol Pot, che traevano ispirazione dal filosofo e drammaturgo francese Jean-Paul Sartre, entrarono prepotentemente nel quotidiano in questo angolo di Indocina. L’obiettivo della nuova classe politica era cancellare il passato, eliminare il pensiero. La Cambogia doveva ritornare all’anno zero.

Lo spietato Pol Pot, sostenuto dalla Repubblica Popolare Cinese, dette inizio fin da subito a massacri indiscriminati. Dal 1975 al 1979 circa due milioni di persone – un terzo dell’intera popolazione cambogiana – furono sterminate nella brutalità più assoluta. L’Angka – il Partito Comunista di Kampuchea, voluto dal regime dei Khmer rossi – avviò il folle progetto per la distruzione dei tre pilastri della società cambogiana: la famiglia, la religione buddhista e la comunità dei villaggi. I bambini – anche i più piccoli – furono separati dai genitori, le scuole chiuse e il denaro abolito. Molti cambogiani finirono per soccombere alle privazioni della nuova vita: la Cambogia era diventata un Paese di fantasmi.

L’incubo non è finito

Inviato e corrispondente di nessuno, mi accinsi anch’io, nel 1989, a rincorrere la storia recente di un Paese annientato dalla guerra civile. All’epoca, l’esercito vietnamita, dieci anni dopo l’invasione della Cambogia per mettere fine al sanguinario regime di Pol Pot, se ne stava tornando a casa. L’incubo dei Khmer rossi sembrava essere finito, ma non si sapeva per quanto tempo avrebbe retto questa tregua.

Vedevo solo biciclette nelle vie della città, tante biciclette. Una Gaz 24 Volga di colore nero, con rifiniture cromate, si muoveva lentamente senza una direzione precisa. Era l’unica auto in circolazione. Non ne vidi altre. Sui marciapiedi del centro c’erano venditori ambulanti che, con semplicità, offrivano ai passanti la povera mercanzia che avevano nelle canestre.

Gli artigiani impiegavano il tempo lavorando a rallentatore nelle loro modeste botteghe: le mani faticavano a ritrovare il ritmo del mestiere. Se nella capitale si stava ritornando, seppur con timore e debole ottimismo, ad auspicare un futuro migliore, inoltrarsi nelle campagne significava catapultarsi in una realtà completamente diversa: quelli che un tempo erano campi dove si coltivava riso per l’intero fabbisogno della nazione, oggi apparivano ridotti a degli acquitrini.

Onesta Carpené – cooperante internazionale in Cambogia dal 1980 – singhiozzava mentre raccontava frammenti della storia recente: il colpo di Stato del Primo Ministro Lon Nol nel 1970. Un’azione vigliacca appoggiata dagli Stati Uniti, mentre il principe Norodom Sihanouk, sovrano della Cambogia, era all'estero per un viaggio diplomatico.

Sempre nel 1970, il presidente USA Richard Nixon, trovandosi a un punto cruciale nella vicina guerra del Vietnam, ordinò bombardamenti capillari sul Sentiero di Ho Chi Minh, strategica via di transito in territorio cambogiano per i rifornimenti all’esercito di Hanoi. Tassativo l’ordine di Washington: fermare l’avanzata comunista.

Il 7 gennaio 1979 le truppe vietnamite invasero la Cambogia: i Khmer rossi non ebbero via di scampo. Si ritirarono a Occidente, ai confini con la Thailandia. Battambang e Poipet diventarono le loro roccaforti, mentre nel resto del Paese si provava a rinascere. I soldati di Hanoi rimasero in Cambogia fino all’agosto del 1989. Nei mesi a seguire si annunciò un futuro di tregua tra i templi venerati dalla popolazione Khmer.

Al congresso di Parigi i membri dei quattro partiti si fecero notare in atteggiamenti amichevoli, ma pochi giorni dopo, alla conferenza stampa del Primo Ministro Hun Sen all’aeroporto di Pochetong, si apprese la notizia che l’accordo era stato rinviato a data da stabilire. Un rinvio che aveva il sapore di un fallimento.

Le speranze si disgregarono, gli incubi delle fosse comuni svuotate dalle ossa, abbandonate come sigilli atavici senza dimora a pochi passi dal filo spinato, riecheggiavano nei ricordi. Si udivano nuovamente le urla dell’ex liceo Tuol Sleng, luogo di detenzione e di torture di ogni tipo, quella sera a Phnom Penh. I vecchi già sapevano che la guerra non era finita.

 

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Data di aggiornamento: 21 Gennaio 2022
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