Camminare cambia
Camminare cambia. E non solo l’aspetto fisico, ma soprattutto il proprio mondo interiore, quella parte di sé più nascosta e intima che indirizza il nostro sguardo sul mondo, sulle persone e sulle cose. E su noi stessi. Lo ha ben compreso Bernard Ollivier, quando, da giornalista economico in pensione, decise di voler dare una chance di cambiamento a tanti giovani in condizione di disagio sociale, proprio attraverso l’esperienza di un lungo cammino. L’idea era maturata qualche anno prima, quando, sostando in un ostello durante il Cammino di Santiago di Compostela, era venuto a sapere per caso di due giovani carcerati belgi passati di lì due settimane prima, perché «condannati» da un giudice a recarsi sotto scorta fino a Santiago. Indagando un po’, Ollivier scoprì poi che questa intelligente alternativa al carcere veniva promossa in Belgio da un’associazione, Oikoten (dal 2007, dopo la fusione con un’altra associazione, ha mutato il nome in Alba), nata negli anni ’80 proprio con l’obiettivo di «rieducare» i giovani condannati a pene detentive, attraverso il camminare (oikoten è un termine greco che significa sia «fuori di casa» che «con i propri mezzi»), sviluppando un metodo preciso: un cammino di lunga durata (almeno 3 mesi) in un Paese straniero, da vivere in piccoli gruppi (due giovani e un accompagnatore). Ollivier decise così di promuovere un’analoga iniziativa in Francia, rivolgendosi ad adolescenti tra i 15 e i 18 anni – quasi sempre alla prima condanna per furto – fondando nel 2000 l’associazione Seuil.
La storia di Seuil non è stata semplice. È il suo stesso fondatore a raccontarla nel volume Camminare cambia. Il lungo cammino come strumento educativo per giovani in difficoltà (curato dall’Associazione Lunghi Cammini per Ediciclo). «L’associazione quasi subito ha incontrato l’ostilità dei “professionisti”, cioè della pubblica amministrazione – racconta Ollivier –. Ma abbiamo tenuto duro». E hanno fatto bene, visto che già il ragazzo che terminò il primo lungo cammino è letteralmente «rinato»: «Oggi è padre di famiglia e le cose gli vanno bene» confida il fondatore di Seuil. Ci volle però tanta determinazione e il coinvolgimento nel progetto di un gruppo di persone (psichiatri, ex ministri, docenti universitari) le cui competenze erano indiscutibili. Ma l’esperienza si è dimostrata un successo, come confermano i dati: «Seuil, con un costo due o tre volte inferiore rispetto a quello di una detenzione in un centro educativo chiuso, ottiene che il 75% dei ragazzi torni da un cammino con un progetto di ripresa degli studi o di tirocinio», conclude l’ex giornalista.
L’esperienza italiana
Isabella Zuliani è una donna veneziana (vive a Mestre), da sempre attiva nel mondo del volontariato. Un giorno del 2014, per caso, si imbatte in un articolo di «Avvenire», nel quale viene raccontata la storia di Bernard Ollivier. È un’illuminazione: «Ho subito compreso – racconta – la bontà dell’idea di far fare un’esperienza di lungo cammino ad adolescenti fragili, disagiati o inseriti in un percorso di giustizia penale: tre mesi di cammino sarebbero una palestra di formazione anche per i nostri figli, figuriamoci per chi vive in “bolle” di marginalità e ha avuto poche opportunità per misurarsi con le proprie forze in un contesto positivo...».
Isabella comincia così a parlarne con famigliari, amiche, amici, «tecnici» del settore, e poi via via con operatori ed educatori, i quali immediatamente comprendono l’opportunità che tale esperienza può offrire a tanti ragazzi che vivono in situazioni di disagio. Va addirittura a incontrare Bernard Ollivier, il quale risponde a tutte le domande di questa sconosciuta italiana. E così, con un manipolo di persone convinte della bontà dell’iniziativa, Isabella Zuliani decide di dare vita, nel 2016, all’associazione Lunghi Cammini odv – della quale è oggi presidente –, che propone ai giovani in difficoltà di mettersi letteralmente in cammino «per trovare nuovi equilibri e nuovi inizi». La forma suggerita è quella già vista del lungo cammino: 1.800 chilometri da percorrere in cento giorni (anche se a volte si propongono cammini più brevi sia in termini di distanza che di durata), all’estero e in compagnia di un adulto in un rapporto di uno a uno, senza cellulari né dispositivi per riprodurre musica (solo l’accompagnatore ha un cellulare per le comunicazioni di servizio) e mettendo al bando ogni bevanda alcolica. Un’esperienza in apparenza semplice, ma in realtà molto complessa e che si dimostra un potente strumento di crescita e di cambiamento.
«Il lungo cammino educativo che abbiamo immaginato – puntualizza Isabella Zuliani – è pensato per minorenni di entrambi i sessi, che stanno attraversando un periodo difficile; non solo quindi ragazzi “in prova”, ma anche in situazione di disagio sociale o personale. L’esperienza, ovviamente, è gratuita per i giovani coinvolti: attingiamo a fondi europei o ai bandi di varie istituzioni; i primi cammini sono stati finanziati da un privato che ha creduto nella bontà del progetto. Abbiamo quindi un budget contenuto su cui contare per vitto e alloggio e per questo, durante i cammini, ci appoggiamo a ostelli attrezzati o a luoghi di ospitalità religiosi. Scegliamo percorsi noti, che si snodano lungo vie descritte da guide cartacee (come il Cammino di Santiago di Compostela, ad esempio), abbastanza frequentati, perché è importante che i giovani si confrontino con altri viandanti che di loro non sanno nulla. I primi nostri interlocutori, coloro con cui inizialmente ci interfacciamo, sono le istituzioni: la proposta ai ragazzi viene infatti avanzata dagli operatori dei servizi territoriali, che li conoscono e possono valutare se tale esperienza è adatta a loro. Una volta iniziato il cammino, poi, i due “viandanti” sono costantemente seguiti a distanza da un’équipe (di cui fa parte anche uno psicologo) coordinata da un “responsabile di marcia” che convoca gli incontri e telefona quotidianamente alla coppia». Ma la proposta, da sola, non basta. «Il giovane coinvolto – specifica infatti Zuliani – deve aderire formalmente al progetto, così come l’istituzione a cui è affidato e che dovrà, al suo rientro, progettare al meglio il suo reinserimento sociale».
Il Lungo Cammino italiano abbiamo visto che non si rivolge solo ai giovani inseriti in un percorso di giustizia penale, ma è indubbio che «l’esperienza – continua ancora Isabella Zuliani – sia particolarmente adatta per quei ragazzi che possono godere dell’istituto giuridico della “messa alla prova”, cioè della sospensione del processo e dell’inserimento in un’esperienza formativa». Spiega, infatti, la presidente: «L’esperienza ha una natura pattizia, cioè prevede una libera adesione da parte del giovane, che va rinnovata quotidianamente, visto che egli in ogni momento può decidere di ritirarsi; è destigmatizzante, dal momento che viene condivisa con tanti altri viandanti che nulla sanno del ragazzo e che, apprezzando il suo impegno, gli rimandano un’immagine positiva di se stesso; è responsabilizzante, perché la sua riuscita dipende solamente dall’impegno del “camminatore”; è educativa, perché il tipo di esperienza consente al ragazzo (come accade a qualsiasi altro camminatore) di connettersi con il suo sé più profondo; è concreta, visto che ogni giorno il giovane ha la possibilità (e l’orgoglio) di misurare il risultato delle proprie fatiche; prevede un affiancamento continuo 24 ore su 24 da parte di un adulto, che a sua volta si confronta con altre figure di riferimento verificando il proprio operato. Infine, l’aspetto più importante: se il percorso viene concluso, il giovane ottiene dalla Stato l’affrancamento dal reato, che non verrà più perseguito».
«Da quando siamo partiti – chiosa Zuliani –, abbiamo camminato con 14 giovani e tutti sono usciti profondamente diversi dall’esperienza fatta. Non sono mancati nemmeno gli accompagnatori. Negli anni abbiamo ricevuto un centinaio di candidature di persone che si proponevano per tale compito: dopo la selezione, ne abbiamo ritenuti corrispondenti alle nostre esigenze meno di venti. A oggi, però, solo nove persone hanno collaborato con noi, sette uomini e due donne. E qualcuno ha accompagnato più di una esperienza».
Le testimonianze dei ragazzi camminatori dicono tutta la profondità di questa esperienza. Raccontano di stupore per quanto realizzato: «Prima di partire pensavo: “Non ce la farò – dice T. –, anche per l’aspetto fisico, ci vogliono delle belle gambe per fare un mese in cammino... poi anche mentalmente, ti devi preparare mentalmente”. Il mio pensiero era di fermarmi a metà tappa e invece…». Raccontano di «spiazzamento», per essere usciti dai consueti schemi mentali entro i quali erano abituati ad agire, come il vissuto di rifiuto: «Mi hanno sorpreso soprattutto le persone – confida A. –; le persone ci accoglievano con cuore grande...». Raccontano, infine, di bellezza ritrovata o forse incontrata per la prima volta nella loro vita: «Ogni giorno era un regalo in più, un regalo nuovo» conferma G.
Un’esperienza profonda, di grande cambiamento, insomma, pur nell’essenzialità della proposta, che può rappresentare il seme di una nuova vita. Come ha saputo riassumere in poche parole uno dei ragazzi affidati a Seuil: «Quando sono partito ero uno scarafaggio, una nullità, ma da quando sono tornato sono un eroe». Perché a volte basta poco, basta tendere una mano e condividere un tratto di strada, per risuscitare una vita che pareva perduta.
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