Capitane del destino!
Giorni fa ho riascoltato un disco di Edoardo Bennato del 1973, Non farti cadere le braccia. Il ritornello recita così: «Non farti cadere le braccia / Corri forte, ma più forte che puoi / Non devi voltare la faccia / non arrenderti né ora né mai [...]». Ma se un mattino ci svegliassimo senza le braccia, che cosa faremmo? Saremmo nel panico, perché le braccia ci permettono di mangiare, di lavarci, di abbracciare gli altri, ecc. Potremmo definirle «un prolungamento della nostra volontà», come se esse definissero la nostra identità. Eppure c’è chi le braccia non ce le ha, come la ballerina Simona Atzori – che molti ricorderanno nella sua esibizione a Sanremo 2012 – e Inga Petry, musicista, violoncellista e protagonista del video dell’ultimo brano della band musicale statunitense MGMT, intitolato Nothing to declare. Due vite apparentemente simili: Simona sceglie di esibirsi professionalmente come ballerina e pittrice; Inga attraverso questo video rappresenta la sua vita quotidiana.
In certi casi, sebbene le intenzioni siano altre, si corre un grosso rischio, soprattutto nella rappresentazione mediatica: quello che una persona con disabilità possa essere strumentalizzata, «usata» come «fonte di ispirazione» per tutti e tutte coloro che una disabilità non ce l’hanno, poiché «nonostante tutto» ha saputo raggiungere determinati traguardi. Emerge qui con forza il concetto di inspiration-porn, letteralmente «pornografia motivazionale», che sta a indicare, appunto, quella visione per cui una persona con disabilità è fonte di ispirazione solo per il fatto di avere una disabilità. Con quali conseguenze? La più immediata è quella di abbassare le aspettative di realizzazione di una persona con disabilità, così da sorprendersi del fatto che riesca a raggiungere degli obiettivi nella vita: avere progetti, lavorare, andare a bere una birra con gli amici, avere una relazione e così via.
Le scelte di Simona e Inga sono simili, ma credo che nel loro caso, quella che nel senso comune viene definita «ispirazione» abbia una connotazione differente: da un lato, non ridurre, svalutare e sminuire ciò che una persona con disabilità realizza, dall’altro, non porsi come modello, metro di paragone per gli altri che non vivono la loro stessa condizione. La loro immagine cambia prospettiva: non sono «oggetti» di ispirazione ma «soggetti attivi». Questo concetto da quarant’anni è alla base del lavoro educativo dell’Associazione Centro Documentazione Handicap e della Cooperativa Accaparlante di Bologna, dove le persone con disabilità hanno scelto di essere promotori di un cambiamento culturale, ovvero soggetti di politica attiva.
Il termine «politica» deriva dal greco antico, e significa «prendersi cura della polis». A me è molto cara questa definizione: è la disabilità che si prende cura della collettività, che si assume delle responsabilità nel voler ribaltare pregiudizi e stereotipi ancora vivi nell’immaginario comune, senza subire passivamente le scelte degli altri, le dinamiche dei contesti. Essere «padroni del proprio destino, essere capitani della propria anima», come direbbe Nelson Mandela, è questo, a mio parere, l’intento di Simona, di Inga e di tante altre persone con disabilità. E con questa massima non mi resta che augurare buona Pasqua a tutti e a tutte!
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