In che cosa speriamo?

La storia è limite, ciascuno di noi ha un tempo, ma questa storia imperfetta è lo spazio buono della vita. Possiamo essere felici, questo ci dice il Vangelo.
23 Marzo 2022 | di

Ma come? Davvero? Se proprio si deve. Proprio dentro, chiusi in casa. Ma sarà per poco. Sarà il tempo di trovare la soluzione. Non può andare così per molto. E la scienza, allora, a che cosa serve? Non si può più sperare in niente. In niente?

La pandemia ci ha scaraventati giù dal trono dell’inconsapevolezza. Pensavamo che non ci potesse capitare. Di fermarci. Tutto d’un colpo. La nostra libertà così ovvia, innata per noi occidentali, nata con noi, che da un giorno all’altro va a sbattere contro i quattro muri delle nostre case, solo un affaccio dal balcone, per chi ce l’ha e molti proprio non ce l’hanno. Ma era una inconsapevolezza colpevole, la nostra.

Il Rapporto sui limiti dello sviluppo, commissionato dal Club di Roma al MIT (Massachusets Institute of Technology) e pubblicato nel 1972, compie cinquant’anni. C’era scritto che siamo stati bravi, come umanità. Il progresso scientifico e tecnologico ci ha messo al riparo dal bisogno, dalle malattie più gravi e diffuse, dall’ignoranza. Ma, ecco il ma: ci ha resi euforicamente avidi, insaziabili divoratori di beni e risorse, distratti inquinatori e dissipatori, spreconi, accumulatori. Dèi sciocchi e giocherelloni. Il pianeta è uno. Piccola palla sospesa nell’universo. Pallina piena di risorse però, portatrice di vita, la nostra.

Ma, ancora il ma, le risorse hanno un limite. Ecco la parola. Vanno amministrate e non devastate. Tutto qui. Però, diceva il Rapporto, noi possiamo farlo, di amministrarle bene. Siamo esseri razionali, senzienti e competenti. Empatici, anche. Vogliamo che altri vivano dopo di noi. Giusto? Gli esperti non erano cassandre e menagrami. Conoscevano le potenzialità di sviluppo della tecnica e le mettevano in conto. Può essere che il progresso tecnologico ci dia anni in più rispetto alle proiezioni. Ma non può rendere illimitato quello che è limitato. Il limite della Terra è il nostro bene e questo va preservato, custodito e amato. Oggi sembra che riconoscere il limite sia un dramma. Una gogna. Una vergogna.

Quanto a noi cristiani, il limite è il nostro bene. Da quando Dio sì è fatto storia è come se avesse detto: «Non abbiate paura del limite, il limite è buono, così buono che l’ho abitato, attraversato, che proprio nel limite mi sono manifestato». Il limite è il luogo dell’epifania. Della verità, che per chi crede è una persona, è l’Incarnazione. E per tutti, anche per chi non crede, è la verità semplice semplice di non essere Dio. Possiamo prenderla da qualsiasi parte, questa affermazione, ma è difficile non riconoscerla vera.

Non siamo Dio né singolarmente né come umanità nella sua interezza. La storia è limite, ciascuno di noi ha un tempo, la nostra vita conosce il male, i tradimenti, ma questa storia imperfetta e segnata da tutti i limiti che possiamo sperimentare è lo spazio buono della vita. Possiamo essere felici, questo ci dice il Vangelo.

E questo ci apre a comportamenti che ci salvano. Ci orientano alla sobrietà, ad esempio, e la sobrietà è vedere il bene di ogni cosa che abbiamo, e altri invece non hanno. Il pane, l’acqua, che non è scontata, il caldo di cui ci circondiamo d’inverno e il fresco che ci procuriamo d’estate. I vestiti, che acquistiamo e buttiamo distratti, ma oggi così tecnici e performanti che possiamo, potremmo, eliminare un mare di sofferenze gratuite e inutili, sugli animali, i nostri compagni di creazione, di vita e, chissà, anche di vita eterna. Con misura. Ecco.

Amare il limite vuol dire sperare nella vita buona, vivere nella responsabilità. Traduzione universale, laica, del comandamento dell’amore. Per i cristiani, nella forma estrema dell’amore. Il morire per gli altri.

 

Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!

Data di aggiornamento: 23 Marzo 2022

Articoli Consigliati

Lascia un commento che verrà pubblicato