Chiesa, non «per» ma «con» i giovani
«Spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore». Sembra un’affermazione a effetto di papa Francesco (che per l’appunto l’ha fatta sua), e invece ha quei 1.500 anni in più, dal momento che a donarcela è san Benedetto, laddove nella Regola raccomanda agli abati di consultare anche i giovani prima di ogni scelta importante. E così si è regolata la Chiesa, con il sinodo dei vescovi dedicato a I giovani, la fede e il discernimento vocazionale tenutosi in ottobre in Vaticano, dove sono convenute certo poche centinaia di persone (266 padri sinodali, 49 uditori di cui 34 men che trentenni, 23 esperti e 8 delegati fraterni), ma in rappresentanza di tutto il popolo di Dio e accogliendo i tanti apporti dalla base raccolti nell’intensa fase di preparazione. In proposito, un dato su tutti: oltre 100 mila giovani hanno fatto sentire la propria voce rispondendo all’apposito questionario on line.
Proprio il bel cammino pre evento «ha evidenziato una Chiesa “in debito di ascolto”», ha sottolineato papa Francesco il 3 ottobre in apertura dei lavori: «Questo sinodo ha l’opportunità, il compito e il dovere di essere segno della Chiesa che si mette davvero in ascolto, che si lascia interpellare dalle istanze di coloro che incontra, che non ha sempre una risposta preconfezionata già pronta». Sono temi che torneranno senz’altro nell’esortazione post-sinodale che papa Francesco potrebbe regalarci la prossima primavera, come già fece dopo i sinodi dedicati all’evangelizzazione e alla famiglia firmando Evangelii gaudium (2013) e Amoris laetitia (2016).
Nel frattempo, a darci il polso di quanto avvenuto «a porte chiuse» sono le 40 pagine del Documento finale, sintesi offerta proprio al Santo Padre come primo frutto del dibattito e confronto, e le testimonianze di chi ha partecipato all’evento. Abbiamo avvicinato due di loro, don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei, e Gioele Anni, ventottenne consigliere nazionale per il settore giovani di Azione Cattolica.
Come il Risorto a Emmaus
Eccolo allora il Documento finale, ricco di intuizioni profonde e piste approfondibili nella concretezza del quotidiano. L’ascolto, elemento costitutivo fin dall’apertura, trova nella scelta dell’episodio dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) la sua più profonda ispirazione. «Il Risorto desidera fare strada insieme a ogni giovane, accogliendo le sue attese, anche se deluse, e le sue speranze, anche se inadeguate. Gesù cammina, ascolta, condivide. (…) La Chiesa quindi, attraverso l’ascolto, entra nel movimento di Dio che, nel Figlio, viene incontro a ogni essere umano» (punti 5-6). Gioele Anni al sinodo, insieme agli altri 33 giovani, ha vissuto la doppia esperienza: era «uditore», ma ha trovato anche ascolto. «Abbiamo portato le nostre storie di giovani molto normali che cercano di vivere la fede in questo tempo fatto di precarietà lavorativa, di scelte che si fa fatica a maturare in modo definitivo… È stato un modo per mettere in pratica l’intuizione del Papa quando dice che senza i giovani ci “manca parte dell’accesso a Dio”».
Tale è l’importanza data all’ascolto che i padri sinodali hanno anche ipotizzato il ruolo inedito di un nuovo servizio ecclesiale ad hoc nelle comunità, l’«ascoltatore» (9), per essere più vicini alla «pluralità di mondi giovanili», perché «la fascia di età considerata dal presente sinodo (16-29 anni) non rappresenta un insieme omogeneo, ma è composta di gruppi che vivono situazioni peculiari» (10). L’ascolto si concretizza poi affrontando tre «snodi cruciali»: l’ambiente digitale con le sue luci e ombre, i migranti «paradigma del nostro tempo», gli abusi «di potere, economici, di coscienza, sessuali» (21-31). Spazio quindi all’identità e alle relazioni, con paragrafi dedicati alla famiglia, alla genitorialità, ai rapporti tra le generazioni. In alcune parti del mondo, sottolinea il Documento finale, «tra giovani e adulti non vi è un vero e proprio conflitto generazionale, ma una reciproca estraneità. Talora gli adulti non cercano o non riescono a trasmettere i valori fondanti dell’esistenza oppure assumono stili giovanilistici, rovesciando il rapporto tra le generazioni. In questo modo la relazione tra giovani e adulti rischia di rimanere sul piano affettivo» (34). L’identità passa anche attraverso i rapporti di amicizia tra pari, il lavoro, la percezione del corpo, la sessualità, tema delicato sul quale i giovani «esprimono il desiderio di ricevere dalla Chiesa una parola chiara, umana ed empatica. Frequentemente infatti la morale sessuale è causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa» (39). «Sono i temi – fa notare don Falabretti – che io chiamo “i semafori rossi”. È vero che tutti i punti sono stati votati a maggioranza qualificata, ma alcuni hanno avuto più voti contro: sinodalità, sessualità, ruolo della donna, coscienza personale... Rivelano le fatiche della Chiesa in questo frangente».
Suscitatori di domande
Sottolinea con forza don Michele Falabretti: «Il problema non sono i giovani, ma proprio gli adulti, che hanno perso la capacità di incrociare la vita dei giovani. Ancora pensiamo: “Noi siamo qui, se hanno voglia vengono”. Risolverla con la formula della “Chiesa in uscita” dice che è necessario ribaltare l’atteggiamento. Ma non l’abbiamo ancora accettato, capito, elaborato. Il sinodo ci chiede di tenere viva la domanda sul come consegnare alla vita dei giovani il Vangelo».
Il Documento finale individua per questo compito una meravigliosa icona biblica, prendendola da un brano non dei più famosi degli Atti degli Apostoli (8,26-40) che ha per protagonista il diacono Filippo. Come lui, l’adulto «è chiamato a obbedire alla chiamata dello Spirito uscendo e abbandonando il recinto delle mura di Gerusalemme, figura della comunità cristiana, per dirigersi in un luogo deserto e inospitale, forse pericoloso, dove faticare per rincorrere un carro. Raggiuntolo, deve trovare il modo di entrare in relazione con il viaggiatore straniero, per suscitare una domanda che forse spontaneamente non sarebbe mai stata formulata» (101). È necessario diventare «suscitatori di domande» esistenziali, conferma don Falabretti, «correre fuori dalla città dietro ai giovani col desiderio di affidare loro la possibilità di decidersi per il Vangelo. Gesù ha a che fare con la domanda di senso che provi. Accogliendolo, troverai la tua forma di vita e il tuo originale posto nel mondo. Ecco la vocazione».
Come realizzare tutto ciò? C’è un unico modo, reso esplicito dall’esortazione che chiude il Documento finale e rinnova lo slancio missionario: «Noi dobbiamo essere santi per poter invitare i giovani a diventarlo. I giovani hanno chiesto a gran voce una Chiesa autentica, luminosa, trasparente, gioiosa: solo una Chiesa dei santi può essere all’altezza di tali richieste!» (166).
Questa è solo una sintesi dell’articolo dedicato al post sinodo: il testo completo è leggibile sul numero di dicembre 2018 del «Messaggero di sant’Antonio» e nella corrispettiva versione digitale!