Comunità
Un aspetto centrale del pensiero e dell’esperienza di Nouwen è la comunità, un tema del quale il prete olandese ha trattato in molti articoli e conferenze, ma che soprattutto rappresenta una dimensione che ha potuto vivere concretamente da quando è entrato nella Comunità dell’Arca di Daybreak (fondata nel 1969 a Richmond Hill, nell’Ontario, in Canada).
Il libro raccoglie dieci testi (tre dei quali anteriori all’ingresso a Daybreak) che fanno emergere i tratti essenziali della spiritualità cristiana in relazione alla vita comunitaria. «La nostra vera identità non va ricercata dove possiamo vantarci delle nostre qualità, bensì dove possiamo riconoscere la nostra fondamentale identità umana condivisa, scoprendoci fratelli e sorelle, figli e figlie dello stesso Dio»: questo è un passaggio decisivo, che scardina il mito della competizione e l’esaltazione delle differenze, per cercare anzitutto ciò che ci accomuna agli altri.
Rivelatore in tal senso è il rapporto con le persone con disabilità, che spesso è vissuto cercando di «normalizzarle», di risolvere, cioè, il loro problema, senza pensare che esse, in realtà, hanno già qualcosa da offrire agli altri in quanto appartenenti e portatrici della medesima umanità. Un’esperienza difficile da sperimentare in un mondo fortemente competitivo, come quello attuale. Perché la competizione promuove un contesto individualistico, nel quale anche le buone pratiche spirituali finiscono col rafforzare l’autocentratura.
La comunità, invece, si costruisce a partire da una serie di discipline, di attenzioni da avere: in primo luogo con se stessi, curando il proprio spazio di solitudine. Infatti, solitudine e comunità vanno di pari passo: senza comunità, la solitudine getta nell’isolamento; senza solitudine la comunità è un vuoto di parole e sentimenti (come già diceva Dietrich Bonhoeffer). Anzi, la comunità chiama a vivere fino in fondo la propria solitudine e il proprio dolore, che non si risolvono totalmente nella relazione con gli altri, ma proprio «lì dove si è più vulnerabili, dove si soffre maggiormente, dove si è più poveri, è lì che Dio dimora». E, allora, le nostre fragilità, le colpe e le debolezze che vorremmo nascondere diventano l’occasione di incontro con l’altro, di compassione, di perdono reciproco. Infatti, l’orizzonte non è una comunità di perfetti, ma di figli amati che celebrano i doni gli uni degli altri.
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