30 Settembre 2023

Vivere con amore

Antonio ha messo amore in tutto ciò che faceva, dallo studio alla predicazione, dalla preghiera al lavoro. Uno spunto buono anche per noi?
Vivere con amore

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Tra la fine del 1223 e l’inizio del 1224 viene collocata la breve lettera inviata da san Francesco a sant’Antonio: a ottocento anni da questo messaggio, testimonianza significativa del legame tra i due, ci prendiamo il tempo per rileggerlo. «A frate Antonio, mio vescovo, frate Francesco augura salute. Ho piacere che tu insegni la sacra teologia ai frati, purché in questa occupazione tu non estingua lo spirito dell’orazione e della devozione, come sta scritto nella Regola. Sta’ bene» (Fonti francescane nn. 251-252). Ci fa un po’ strano che Francesco usi il termine «vescovo», ma probabilmente a quel tempo era riferito anche a chi insegnava teologia.

Con tono cordiale, il santo di Assisi dà il permesso di insegnare: forse si era reso conto del dono che Antonio poteva essere per la preparazione dei frati, cosa importante anche a quel tempo. Infatti, pur vivendo la vita semplice del Vangelo sine glossa (cioè applicato così com’è, senza sofisticate interpretazioni), c’era sempre dietro l’angolo il rischio di semplificare troppo, finendo come quei frati che, in Germania, predicarono senza sapere una parola di tedesco e furono presi per eretici.

E allora ecco il placet per insegnare teologia, ma a una condizione, quella che troviamo anche nella Regola dei frati minori, approvata da papa Onorio nel 1223: «Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e devozione, così che, allontanato l’ozio, nemico dell’anima, non spengano lo spirito della santa orazione e devozione al quale devono servire tutte le altre cose temporali» (cfr. Regola bollata cap. V, Fonti francescane n. 88). Il lavoro (anche insegnare), quindi, per Francesco è una grazia. Non è una «cosa del mondo» dalla quale allontanarsi… casomai è l’ozio il nemico da combattere. 

Quindi, è bene lavorare, a patto che il lavoro non spenga lo spirito della (santa) orazione e devozione: il cuore di Francesco cerca sempre di orientarsi al Signore, suggerendo queste due attenzioni. La prima è lo spirito dell’orazione, che non significa dire tante preghiere, ma piuttosto ascoltare la voce di Dio che parla nella nostra vita: lo fa attraverso il grido di chi soffre, l’angoscia di chi è solo, l’aiuto di chi si fa vicino, il perdono di chi ha misericordia. Una parola incarnata, che è spesso inascoltata, perché siamo presi dall’ansia dei nostri affari, delle tante cose da fare che intasano la nostra vita. E allora ci facciamo l’abitudine a sentir parlare dei morti delle guerre (non solo quella in Ucraina, la situazione in molti Paesi dell’Africa è disastrosa), di violenze e di soprusi. 

Abbiamo bisogno di svegliarci, di uno sguardo attento e non scontato sul mondo. E per questo ci può aiutare la devozione: un termine un po’ fuori moda, che ci richiama al legame con la Madonna, con sant’Antonio come protettori e intercessori… ma non è solo questo! Francesco parla di lavorare con devozione (e fedeltà): che cosa vuol dire? Che ci metti tutto te stesso in quello che fai, non solo la mente, ma anche gli affetti, la passione; che non lo fai solo per te stesso, ma per gli altri (in particolare, per Dio: devovere, in latino, significa «votare a Dio»).

Allo stesso tempo, però, la devozione nel lavoro non deve spegnere lo spirito di devozione: perché il lavoro non è Dio, ma è a servizio degli altri e di Dio. È proprio a loro che va la devozione, nel senso di dedizione appassionata a Dio e all’umanità: questo ci invita a svegliarci dal nostro torpore, dalle nostre indifferenze. Possiamo dire che Antonio ha davvero colto nella sua vita il senso del biglietto di Francesco, vivendo con amore tutto ciò che faceva, dallo studio alla predicazione, dalla preghiera al lavoro umile, dall’ascolto all’azione per gli ultimi. Può essere un buono spunto anche per noi?

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Data di aggiornamento: 30 Settembre 2023
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