05 Maggio 2021

Cuore sardo

Il Museo d’Arte della Provincia di Nuoro dedica una mostra antologica all’artista genovese Lisetta Carmi. Le sue foto narrano l’epica di un’umanità ai margini della storia e ormai scomparsa di cui restano solo istantanee di volti, tradizioni e paesaggi.
Nuoro, i funerali del carabiniere (particolare), 1962, stampa ai sali d’argento. Lisetta Carmi-Martini & Ronchetti.
Nuoro, i funerali del carabiniere (particolare), 1962, stampa ai sali d’argento. Lisetta Carmi-Martini & Ronchetti.

Quello di Lisetta Carmi per la Sardegna è più di un amore. È un legame indissolubile che si è sedimentato nei decenni, e che l’artista ligure ha sublimato nella poe­sia delle sue fotografie. Nata del 1924 a Genova da genitori di origine ebraica, conobbe la drammatica esperienza dell’esilio in Svizzera in concomitanza con l’esplosione dei totalitarismi in Europa. Ben presto la fotografia catturò il suo interesse a tal punto che Carmi la preferì alla musica e al pianoforte a cui sembrava inizialmente voler consacrare la sua esistenza. Imparò da sola l’arte e la tecnica, e si fece le ossa lavorando come fotografa di scena al Tea­tro Duse di Genova. Poi iniziò la stagione dei reportage nella sua città, attraverso i quali ebbe modo di esplorare e svelare gli aspetti meno noti della dura vita dei lavoratori. Ormai era pronta per spiccare il volo e spingersi ai confini del mondo: in America Latina, in Asia, nell’Oriente più misterioso e arcaico.

La carriera dell’artista ha coperto un arco di tempo che ha intercettato i decenni cruciali del secondo Novecento, dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, impegnandola, come se fosse quasi un obbligo morale, a documentare il vissuto di quell’umanità, spesso inascoltata o invisibile, che popolava le periferie della società e del mondo del lavoro, a svelare quell’arcipelago di condizioni esistenziali ramificato sia nelle grandi città sia nelle aree rurali o remote, e in cui prevalevano spesso l’isolamento e il disagio, l’incomunicabilità e l’assenza di ambizioni o prospettive. Una realtà tutt’altro che oleografica, a cui il suo sguardo ha sempre prestato attenzione e compartecipazione, sfiorando le corde della ricerca antropologica.

La fotografia, negli scatti di Carmi, diventa uno strumento con il quale l’artista scandaglia la propria interiorità, indaga il mondo attorno a lei, si trasforma in un’arma di denuncia sociale, di impegno politico, di critica contro tutte le forme di emarginazione. Esplora le periferie, i piccoli villaggi, offre la scena ai dimenticati, agli ultimi. Salva l’ambiente nei suoi scatti, prima che l’opera dell’uomo lo deturpi per sempre, spesso in modo irreversibile. È testimone della mutazione della Sardegna, da scrigno di un’antica civiltà a mecca del turismo di lusso. Carmi racconta, attraverso le sue inquadrature, mondi in cui si intrecciano un’umanità variegata e dolente, a tratti addirittura estinta, l’ambiente circostante, e le relazioni tra l’uomo e il paesaggio verso il quale egli è debitore, ma di cui dovrebbe essere, prima di tutto, custode.

In Sardegna, in particolare in Barbagia, la fotografa genovese intensificò la sua presenza tra il 1962 e il 1974, restituendocene un inedito racconto per immagini della vita sociale, dei riti comunitari, delle usanze, dei personaggi originali che la popolavano; tributando sempre un grande rispetto ai soggetti e alle storie immortalate sulla pellicola. A questo microcosmo in cui si fondono gli echi del docile lirismo del tempo perduto con quella patina di nostalgia che risveglia sensazioni antiche, il MAN, Museo d’Arte della Provincia di Nuoro, dedica la mostra antologica «Lisetta Carmi. Voci allegre nel buio. Fotografie in Sardegna 1962-1976». 

Storie di carta

Carmi entrò in contatto con la Sardegna alla fine degli anni Cinquanta, leggendo sulla rivista «Il Mondo» di Mario Pannunzio le esperienze di Maria Giacobbe, maestra elementare, poi pubblicate da Laterza nel Diario di una maestrina. Nel 1962 si recò nei luoghi evocati dalle cronache della Giacobbe per conoscere i bambini di cui aveva letto le condizioni. E trasformò quelle storie di carta in immagini, raccontando così la dura vita dei villaggi, sacrificata dalla necessità di lavorare la terra e di sbarcare il lunario affrontando miseria, privazioni e incertezze nella quotidianità di un territorio dalle forti contraddizioni.

Giovanni Battista Martini, curatore della mostra con Luigi Fassi, ricorda che «una parte del percorso espositivo si concentra sulle foto, sia a colori che in bianco e nero, dei murales» dove è la fotografia a cristallizzare la pittura. «Una parte della mostra è dedicata al nuovo insediamento che si stava realizzando sulla costa di Porto Cervo, oltre a un’ampia indagine visiva sul lavoro in Sardegna, svolta in parecchie occasioni. Carmi visitò i sugherifici di Calangianus. Ritrasse i pastori sui monti della Barbagia e i luoghi in cui vivevano. Fotografò i pescatori sul fiume Temo a Bosa, i laboratori di tessitura a Dorgali, le donne al telaio a Irgoli. Non mancò di occuparsi della musica e del canto nella vita delle comunità locali dove persistevano tradizioni radicate, come quella della Festa della Candelaria a Orgosolo (NU) per dare il benvenuto al nuovo anno con “brevi canti di augurio. E nel buio si sentono queste voci allegre”». 

Nel 1976 la Dalmine pianificò la realizzazione di due volumi fotografici: uno dedicato alle acque della Sardegna e l’altro a quelle della Sicilia. E incaricò Lisetta Carmi. Sfortunatamente, però, la pubblicazione relativa ai fiumi, ai laghi e alle acque della Sardegna non conobbe le rotative, ma continuò a vivere solo nel diario in cui Carmi snocciolava le tappe di un percorso che è diventato «l’intensa testimonianza del suo ultimo viaggio in Sardegna», accanto alle sue foto straordinarie del «primo lavoro metodologico sul paesaggio condotto dall’artista genovese. Un tema abbastanza inconsueto per lei che, fino a quel momento, si era concentrata sulle persone». Luigi Fassi, che oltre a essere co-curatore della mostra è anche direttore del Museo MAN, osserva che quelle di Lisetta Carmi «sono immagini che raccontano le trasformazioni in corso nell’isola e in Italia in quegli anni, manifestando la forza di intuizione e immedesimazione con cui la fotografa ha percorso le strade del mondo»

Quando Lisetta Carmi scatta una fotografia ci accompagna in un universo narrativo le cui immagini compongono un racconto che analizza e sviluppa la realtà che abbiamo di fronte. È forte a tal punto questo connubio tra percezione e immagine immortalata sulla pellicola, che i soggetti ritratti sembrano quasi travolgere gli angusti margini dell’inquadratura per riversarsi all’esterno, restituendo l’empatia che hanno provato con l’obiettivo e, ancora di più, con la fotografa che ne ha colto, nell’istante fuggevole, dettagli e sfumature. Un approccio che ritroviamo in due temi rilevanti del suo percorso iconografico: un grande lavoro del 1964 sul porto di Genova e sulla condizione dei suoi lavoratori, e una ricerca visiva, svolta con delicatezza e umanità, sul mondo dei travestiti.

 

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Data di aggiornamento: 06 Maggio 2021
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