Destinazione: eremi

L’Italia ne è piena. Che li visitiate in cerca di un momento di spiritualità o per puro scopo turistico, gli eremi sono comunque mete preziose da esplorare e rispettare. In periodo di vacanze, ecco qualche spunto di viaggio.
11 Luglio 2024 | di

«Basta! Non ne posso più! Arrangiatevi, io mi ritiro in un eremo!». Chissà quante volte – pressati dagli impegni di lavoro o dalle beghe familiari – l’avete detto o perlomeno pensato. Niente di strano. Nell’immaginario collettivo, la parola eremo (dal greco ἔρημος, ovvero: solitario, deserto) richiama da sempre silenzio e pace interiore, quali conseguenze di un totale isolamento dal resto del mondo. Peccato che questa interpretazione sia di fatto impropria… Ma come? Vi chiederete. I primi eremiti cristiani – da san Paolo di Tebe a sant’Antonio abate, a partire dal III-IV secolo d.C. – non vivevano completamente soli nel deserto? «In realtà – risponde fra Fabio Scarsato, francescanista ofmconv, autore di Francesco ovvero delle contraddizioni. L’esperienza dell’eremo (EMP) –, l’eremita cristiano si ritagliava uno spazio di silenzio per potersi poi incontrare con Dio e con gli altri (guarda caso, ogni detto dei padri del deserto inizia con la formula “Abba, dimmi una parola”, quasi a sottolineare l’importanza della relazione con l’altro). Pensiamo a Simeone Stilita che viveva su una colonna, ma parlava con la gente che si accalcava sotto di essa. Un po’ come sant’Antonio di Padova sul noce…». Sul finire dei suoi anni, infatti, il Taumaturgo si era ritirato in una capanna costruita su un maestoso albero nei pressi di Camposampiero (PD). Un luogo di distacco che divenne ben presto un luogo di incontro, considerate tutte le persone che si affollavano intorno al noce per ascoltare le prediche del frate. Non a caso, nel 1985, Pietro Annigoni immortalò nel suo grande affresco sulla controfacciata della Basilica del Santo di Padova alcuni bambini intenti ad arrampicarsi sul noce per raggiungere Antonio.

«L’eremo come lo intendiamo evangelicamente non è centrato sull’assoluto silenzio, come nella tradizione buddista – continua fra Fabio –. L’eremita cristiano non fugge le folle. Al contrario, ci ricorda che ognuno di noi ha il diritto di costruire un piccolo eremo dentro di sé in cui rifugiarsi. Non per estraniarsi dall’umanità, ma per ritrovare un contatto più profondo con essa». Lo sapeva bene san Francesco, che sulla vita negli eremi scrisse anche alcune «linee guida» per un – sembra una contraddizione in termini ma non lo è – «eremitismo di comunità» (Regula pro eremitoriis data). «Coloro che vogliono stare a condurre vita religiosa negli eremi, siano tre frati o al più quattro. Due di essi facciano da madri e abbiano due figli o almeno uno. I due che fanno da madri seguano la vita di Marta, e i due figli seguano la vita di Maria – precisa il Poverello d’Assisi –. E questi abbiano un chiostro, nel quale ciascuno abbia una sua piccola cella, nella quale possa pregare e dormire. E sempre recitino la compieta del giorno subito dopo il tramonto del sole, e cerchino di conservare il silenzio e dicano le ore liturgiche e si alzino per il mattutino, e prima di tutto cerchino il regno di Dio e la sua giustizia» (Fonti Francescane n. 136-137). «È nella suddivisione dei compiti all’interno dell’eremo che, mi sembra, emerga ancor più chiaramente la posizione, o meglio l’intuizione di Francesco quanto ad azione e contemplazione, parola e silenzio, e a come questi valori debbano e possano mettersi d’accordo – scrive fra Fabio Scarsato in Marta e Maria. L’eremitismo francescano (EMP) –. La distinzione tra “marte” e “marie”, in realtà, non è originale di Francesco, né in ciò che sottende: che ci sia sempre qualcuno dedito alla preghiera e qualcun altro che, affinché il primo non sia distolto nel suo nobile compito, si preoccupi di tutte le cose materiali». Comunità e silenzio, dunque, possono convivere nell’esperienza francescana. «In questo senso l’eremo per Francesco è sempre ad tempus, cioè a tempo determinato – aggiunge fra Scarsato –. In esso ricaviamo spazi per ricaricarci e ritrovare le cose belle. Il silenzio e la solitudine ci insegnano l’essenzialità. Ma se in fin dei conti questa esperienza porta a isolarsi di più dagli altri, allora risulterà un fallimento».

Spunti di viaggio

Chiarita la vera essenza dell’eremo francescano e, più in generale, cristiano, resta da capire come possiamo noi, persone comuni, avvicinarci a esso nel modo più corretto e rispettoso. Tenuto conto che degli oltre mille eremi sparsi in tutta Italia (il sito https://eremos.eu/ ha censito 1.359 tra eremi e chiese rupestri) solo una piccola fetta risulta oggi abitata, l’ideale è distinguere tra visita spirituale e turistica. «Il consiglio è di optare per gli eremi abbandonati, limitando invece i sopralluoghi in quelli abitati – laddove è possibile e secondo relativi orari e modalità – solo nel caso intendiate vivere un’esperienza spirituale e di preghiera» precisa fra Scarsato. 

Partiamo proprio da quest’ultimo caso e lasciamoci consigliare dal francescanista per iniziare il nostro viaggio alla scoperta degli eremi più particolari d’Italia. Accantoniamo per stavolta romitori ormai divenuti simbolo della spiritualità francescana, come quello de La Verna, tra le foreste del Casentino, o l’eremo di Montecasale, nei pressi di Sansepolcro. La prima tappa del nostro tour immaginario è il Sacro Speco di Narni, nonché il luogo francescano più antico della Valnerina (TR). Costruito intorno a una grotta dove i primi eremiti edificarono nell’XI secolo una cappella, e visitato dall’Assisiate sin dal 1213, oggi il sacro luogo ospita un convento di frati francescani (il Santuario è aperto tutti i giorni dalle 8.30 alle 18. Concordando preventivamente col padre Guardiano, è possibile trascorrere periodi di ritiro, preghiera e silenzio guidati da un frate della comunità. Info: sacrospeco@gmail.com; www.assisiofm.it/sacro-speco-narni-68-1.html). Opera di Bernardino da Siena, il piccolo convento, soprannominato di Sant’Urbano, è ricordato nelle Fonti Francescane come la «Cana dell’Umbria», perché, secondo Tommaso da Celano, qui san Francesco avrebbe trasformato l’acqua in vino. Quanto allo «Speco» che dà nome al complesso, bisogna alzare lo sguardo sopra il convento per notare quella fenditura verticale nella roccia che Francesco scelse come dimora. «Sul ripiano davanti alla fenditura – scrivono Attilio Brilli e Simonetta Neri in Andare per eremi francescani (Il Mulino) – si scorgono una celletta, una chiesuola e una roccia isolata simile a una colonna. Nella celletta, protetto da un’antica e robusta rete di ferro, si vede un lettuccio a forma di bara dove Francesco giacque infermo nel 1213». Completano la visita l’antica cappellina di San Silvestro, con affreschi trecenteschi, il chiostro quattrocentesco con vista panoramica sulla vallata e il pozzo dietro l’abside da cui il Poverello avrebbe attinto l’acqua «miracolata». Chiuso nel 1916 e riaperto nel 1942, oggi l’eremo del Sacro Speco è una casa di preghiera in cui si svolge anche il servizio parrocchiale (parrocchia di Vasciano).

Lasciamo l’Umbria e saliamo in Toscana per visitare un altro suggestivo luogo di spiritualità. Sorto nel 706 come piccolo monastero benedettino fatto costruire per la figlia da Tedaldo, signore di Tiferno (Città di Castello), sulla nuda roccia, «come il Golgota», l’Eremo di Cerbaiolo si trova a quasi 800 metri di quota sopra il paese di Pieve Santo Stefano (AR), lungo il cammino di Francesco da La Verna ad Assisi. La vicinanza col famoso Santuario, del resto, ha originato il detto popolare: «Chi ha visto La Verna e non Cerbaiolo, ha visto la madre e non il figliuolo». Donato a Francesco nel 1216, l’eremo di Cerbaiolo vanta da sempre una natura selvaggia e accogliente al contempo. «Cari amici – si legge sul sito eremodicerbaiolo.org –, Cerbaiolo vi aspetta sempre e sarete i benvenuti ogni volta che ci farete visita portandoci la vostra storia fin quassù». Non c’è da stupirsi, dunque, che nell’agosto del 1867 il poeta Giosuè Carducci, in villeggiatura a Pieve Santo Stefano, sia rimasto tanto colpito da questo luogo da descriverlo nell’ode Agli amici della Pieve (poi Agli amici della valle Tiberina) come un gigante che si affretta alla caccia. «(…) E tu che al cielo, Cerbaiol, riguardi / Discendendo da i balzi d’Apennin, / Come gigante che svegliato tardi / S’affretta in caccia e interroga il mattin / Tu ancor m’arridi. E, quando a i freschi venti / Di su l’aride carte anelerà / L’anima stanca, a voi, poggi fiorenti, / Balze austere e felici, a voi verrà. (…)» (tratto da: Poesie di Giosuè Carducci. Bologna, Zanichelli, 1906). Danneggiato durante la seconda guerra mondiale e più volte restaurato, oggi l’eremo di Cerbaiolo è tornato a essere un riferimento per tanti pellegrini, viandanti e devoti. Merito soprattutto di padre Claudio Ciccillo, oblato camaldolese che dal 2019 gestisce la «rinascita» del luogo sacro.

Dalla spiritualità al turismo

Se per quest’estate state cercando mete meno spirituali e più turistiche, ancora una volta gli eremi possono rispondere alle vostre esigenze. Parliamo di tutti quegli eremi ormai disabitati che – aperti solo in determinati orari o ricorrenze – restano comunque luoghi di bellezza… Cartina geografica alla mano, uno tra i più spettacolari eremi del Nord Italia è senza dubbio quello di San Colombano, nel Comune di Trambileno (TN). Incastonato tra le rocce, 120 metri a picco sopra il corso del Leno, questo edificio è dedicato al santo irlandese vissuto nel VI secolo che, secondo la leggenda, uccise un drago colpevole di essersi cibato dei bambini battezzati nel torrente. Da una iniziale grotta per il romitaggio, tra il X e l’XI secolo l’eremo si arricchì di una chiesetta raggiungibile attraverso un breve sentiero e una scalinata di 102 gradini scavati nella roccia (l’apertura dell’eremo è gestita dal Comitato Amici di San Colombano; info: eremosancolombano@gmail.com).

Si specchia sull’acqua anche un’altra perla dell’architettura eremitica. Siamo a Leggiuno (VA): è abbarbicato sulla sponda orientale del Lago Maggiore l’Eremo di Santa Caterina al Sasso. Un complesso fondato a partire dal XII secolo dall’usuraio Alberto Besozzi, scampato a un naufragio per intercessione di santa Caterina d’Alessandria e, quindi, ritiratosi in meditazione sulla scogliera del Sasso Ballaro, dove, anni dopo, gli abitanti del luogo edificarono un sacello quale ex voto per la fine di una epidemia di peste. Nel corso dei secoli l’eremo venne abitato da monaci agostiniani, romiti ambrosiani e carmelitani, finché, terminati nel 1986 i lavori di restauro (l’edificio attuale è frutto della fusione di tre cappelle), non venne affidato ai benedettini. Oggi, come riporta Gionata Di Cicco in Eremi d’Italia. Alla scoperta degli ultimi baluardi della mistica (Edizioni Allaround), «L’architettura dell’eremo si presenta con un portico di stile rinascimentale nel quale sono presenti bellissimi affreschi. Molto interessante è il nucleo più antico del complesso che risale al 1195 circa». Il complesso, che si raggiunge attraverso una scala dalla frazione di Quicchio, è visitabile tutti i giorni. Info: www.beniculturali.it/luogo/eremo-di-santa-caterina-del-sasso-ballaro.

Dalla Lombardia scendiamo verso Sud. Tra gli eremi più particolari della Campania, segnatevi quello di San Michele di Campagna (SA). Ricavato da una cavità naturale del Monte Nero, a 1.110 metri s.l.m., questo edificio affonda le radici nel Medioevo. «Si narra che intorno all’anno 1240, uno degli ultimi casali rimasti fuori le montagne, Sant’Angelo di Furano, fu distrutto a causa di attacchi longobardi – riporta il sito www.cittadicampagna.it/eremo-san-michele –. Gli abitanti sopravvissuti all’eccidio, quelli che non decisero di rifugiarsi nella gola montuosa protetta dal Castello Gerione, per timore scapparono sopra questo monte con a capo il nobile del posto, Paolo Carfagnio. Una volta giunti sulla cima, decisero di erigere una primitiva e rustica chiesetta con annessa una stanza per potervi soggiornare, intitolandola a San Michele, già protettore nel casale ridotto ormai a rovine». Da allora l’eremo è sempre stato meta di pellegrinaggio, complice anche la leggenda secondo cui da quella grotta san Michele – posando a terra quattro pietre a formare una croce – avrebbe scacciato nientemeno che il diavolo. 

Approdiamo ora in Puglia, a Monte Sant’Angelo (FG), per ammirare una «città rupestre» composta da 24 eremi che fanno capo a una grande abbazia. «Instaurata sul colle di Pulsano nel VI secolo per opera del monaco-papa San Gregorio Magno, l’Abbazia Santa Maria di Pulsano, con i suoi eremi circostanti, è stata sino ad oggi, con alterne vicende storiche, luogo di monaci, anacoreti e cenobiti, orientali e latini» si legge sul sito www.abbaziadipulsano.org. Ma nonostante la distanza e le vie impervie che separano gli eremi e l’abbazia (anche un’ora di cammino), non immaginatevi una montagna traforata da anfratti isolati. «Gli eremiti che abitavano queste celle erano senz’altro in comunicazione tra di loro, dal momento che alcuni di questi eremitaggi erano dedicati alla vita comunitaria (di culto e di abitazione) e al lavoro collettivo (un eremo è stato persino adibito a mulino!); inoltre i vari eremi sono collegati da una rete viaria di sentieri e scalinate, nonché da una vera e propria “rete idrica” di canali scavati nella roccia per convogliare le acque in cisterne, terrazzamenti e singole celle». Per visitare questa sorta di «villaggio eremitico decentrato», che ricorda la comunità eremitica nata in Egitto intorno a sant’Antonio abate, trovate le info al link: www.abbaziadipulsano.org/abbazia-notizie-storiche/eremi

Attraversiamo il Mar Tirreno per raggiungere la nostra ultima tappa: Luogosanto, nella Sardegna nord-orientale, dove ci attende l’eremo dei santi Nicola e Trano. Adagiato su un pianoro granitico con vista panoramica che spazia fino alla Corsica, questo edificio deve il nome agli anacoreti che, tra il IV e il V secolo, qui si ritirarono in una grotta. Molti secoli dopo, nel 1227, i loro corpi furono ritrovati da due francescani guidati da una apparizione della Madonna. E proprio nel luogo del ritrovamento i frati fondarono la chiesetta rupestre che oggi domina il paesaggio. Un colpo d’occhio che vale sicuramente il viaggio. Se però la Sardegna è troppo lontana, potete intanto consultare il sito virtualarchaeology.sardegnacultura.it, che all’eremo in questione dedica approfondimenti su location e reperti, più foto, video, ricostruzioni 3d e percorsi virtuali. Forse non sarà come essere lì, baciati dal sole e sferzati dal vento. Ma in fondo, come ci insegna il Poverello d’Assisi, vivere l’eremo significa prima di tutto viverlo dentro di sé. «Francesco desidera che tutti i frati portino l’eremo nel proprio corpo ovunque si trovino» scrive fra Scarsato in Marta e Maria. L’eremitismo francescano (EMP). Anche se non abbiamo preso i voti, vale sempre la pena accogliere l’invito!

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Data di aggiornamento: 11 Luglio 2024

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