Devoti in moto «on the road»
Sono arrivati a piccoli gruppi in sella alle loro moto Harley-Davidson. Barbe e capelli lunghissimi, giubbotti borchiati in pelle nera, bandana al collo giallo oro. E poi scritte gotiche tatuate qua e là, stivali e jeans sdruciti. Insomma, quando, lo scorso 3 luglio, i quaranta bikers tedeschi hanno fatto il loro ingresso nella Basilica del Santo per partecipare alla Messa delle 18, più di qualcuno si sarà chiesto che cosa ci facessero questi strani tipi in apparenza un po’ inquietanti tra i banchi del Santuario antoniano. Tra di loro nessun Hell’s angel (Angeli dell’inferno, la banda di bikers forse più tristemente famosa al mondo, perché dedita in molti casi ad attività illegali), bensì, parecchi angels (angeli) e basta, seppure dall’aspetto piuttosto originale.
Perché angeli? Perché questo gruppo di centauri dal nome Jesus biker (motociclisti di Gesù) angeli lo sono davvero per molte persone svantaggiate, per le quali, nel corso dei loro pellegrinaggi on the road, raccolgono migliaia di euro. L’ultima iniziativa di solidarietà, quella che dalla Baviera (ad Aschaffenburg, dove ha sede il club) li ha condotti a Padova e poi a Roma (per un totale di 1.900 chilometri), prevedeva la consegna a papa Francesco di una moto speciale, una Harley-Davidson del valore di 150 mila euro, costruita quasi interamente a mano (con duemila ore di lavoro) e autografata dal Pontefice stesso. Si è trattato ovviamente di una consegna simbolica, perché ben presto la moto è ripartita per Parigi, dove a fine ottobre verrà messa all’asta e il ricavato sarà interamente destinato alla costruzione di una casa per bambini orfani in Uganda.
Insieme ai motociclisti anche due barbutissimi religiosi della Fraternità Francescana di Betania (una giovane famiglia religiosa, nata nel 1982 in Puglia), che se non fosse stato per le tonache grigio-azzurre si sarebbero perfettamente confusi con i motociclisti. È stato uno di loro, fra Alberto Onofri (assistente spirituale del gruppo), a contattarci per presentare l’iniziativa e assisterci poi come interprete nella lunga chiacchierata con i bikers avvenuta nel chiostro della Basilica.
Tra i protagonisti del pellegrinaggio ovviamente anche il fondatore del gruppo, Thomas Draxler, fisioterapista. «Io sono sempre stato cattolico – confida –, ma non avevo mai pensato di poter testimoniare la mia fede in questo modo. Poi un giorno, qualche anno fa, un mio paziente non credente, che apparteneva a un club di bikers, mi invitò a fare un giro in moto con lui e io accettai a patto di poter indossare un giubbotto che mostrasse quali fossero i miei valori». Prese forma così quel «chiodo» (giubbotto in cuoio nero) particolare indossato da tutti i Jesus biker, ricco di simboli religiosi, a partire dalla scritta Gesù Cristo impressa sulla schiena insieme al simbolo del Chi-Ro (monogramma di Cristo) e alla frase «Via Verità e Vita».
Dopo quella prima esperienza in moto, Draxler decise di voler continuare a portare lungo le strade il messaggio di Gesù. «Jesus biker è un club motociclistico come tutti gli altri – sottolinea infatti Draxler –, che però ha come fine la testimonianza della fede cristiana sulla strada. Quando, all’inizio, cominciai a girare in moto, eravamo in due: io e mia moglie. Poi, pian piano, si sono aggiunti tanti altri bikers con i quali oggi condivido la mia fede in questo che definirei un “movimento ecumenico”, visto che tra di noi ci sono cattolici, evangelici, luterani, pentecostali, ortodossi e anche cristiani siro-ortodossi (aramei). Non chiediamo nulla di particolare a chi vuole entrare nel club, se non di avere un minimo di fede, anche da coltivare e maturare, e di volersi mettere, attraverso la moto, al servizio dell’evangelizzazione. Ogni pellegrinaggio prevede, infatti, dei momenti di preghiera e degli incontri pubblici con la gente del luogo, alla quale vogliamo portare la nostra testimonianza».
L’esperienza si sta diffondendo ben oltre i confini tedeschi: oggi i Jesus biker ricevono richieste di entrare nel gruppo anche dalla Polonia, dalla Croazia e dagli Stati Uniti. E l’interesse per loro aumenta a vista d’occhio, al punto che da più parti li chiamano a raccontare la loro storia. Com’è accaduto di recente nel carcere ad Aschaffenburg, dove sono stati invitati a portare la loro testimonianza a un gruppo di giovani carcerati, per mostrare che la fede può avere anche volti inaspettati, perché davvero nella Chiesa c’è posto per tutti.
Uno dei motti del gruppo è «la nostra missione è Gesù Cristo», per questo, conclude Draxler, «cerchiamo di restare aperti a quello che Gesù ci indica giorno per giorno. Qualche mese fa, per esempio, ci ha chiesto (attraverso la voce dello stesso Pontefice, incontrato per la firma della moto) di pregare per il Papa, perché il suo non è un compito facile». Missione, ovviamente, compiuta on the road.
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