San Lorenzo, i custodi delle stelle
Non è una foto «costruita», credetemi. Un’ora e mezzo di cammino, qualche centinaio di metri di dislivello, pellegrinaggio alla chiesa di San Lorenzo, là, sullo sperone di roccia dell’Armentera, arrivi e ti trovi cinque ragazzi che si «interfacciano» con un materiale nuovissimo come la carta. Leggono Salinger, Pirandello, Anna Frank e un prezioso Paperino. Ero salito fino a 1185 metri di questa montagnola trentina, sospesa sulla Valsugana e nascosta fra i boschi della Val di Sella, solo per fotografare i custodi di un eremo, di una chiesa antica e delle stelle di un cielo di agosto, e, invece, mi sono imbattuto nei loro nipoti.
San Lorenzo è un luogo sacro, solitario e «magico-rituale». Vi si arriva solo a piedi. Uomini e donne già vi salivano in epoche preromane. Graffiti sugli affreschi della chiesa rivelano passaggi certi di pellegrini fin dal 1311. Qui hanno vissuto eremiti: era un prete, don Paolo Corradi, il primo di cui si ha notizia sicura. Visse in questa solitudine nel 1451. Antonio Franceschini, nel 1788, sfidò i divieti e gli ordini di soppressione degli eremi dell’imperatore asburgico Giuseppe II, e continuò a vivere a San Lorenzo.
Nel giorno delle stelle, nel giorno del santo, al dieci di agosto, la gente di Borgo Valsugana sale, a famiglie, a gruppi di amici, fino alla chiesa dell’Armentera. Si cammina, si prega e si fa pic-nic. E una foto tutti assieme, anno dopo anno, alla fine della giornata. I pellegrini saranno accolti dai custodi dell’eremo. Da un secolo e mezzo, la famiglia Battisti, ogni estate, sale all’eremo e vi vive per almeno tre mesi. I bisnonni e i nonni di Alberto e Maria, custodi di questi ultimi anni, hanno piantato alberi. Oggi, assieme ai loro nipoti, curano l’orto, falciano l’erba del prato davanti alla chiesa, riparano i danni dell’inverno. Vasche recuperano l’acqua piovana, il frigorifero è un anfratto di un pozzo naturale, piccoli impianti fotovoltaici hanno sostituito le candele e il carburo. Assicurano la ricarica dei cellulari (si può essere soli e rimanere connessi?). La violenta tempesta dello scorso ottobre ha sradicato la latrina: è stata ricostruita.
I ragazzi, nipoti dei nipoti, continuano a leggere nonostante il mio arrivo. Maria ha preparato il riso. C’è del vino pugliese. Un cartellino dà il benvenuto a chi arrampica fino a qua.
(Una piccola storia a margine: quaranta anni fa, la chiesa e l’eremo subirono un furto, vennero rubate statue preziose. C’era anche un sant’Antonio. I ladri si accorsero che non era di valore e la lasciarono sulla porta. A me piace credere che il Santo di Padova non volesse proprio andarsene da questa piccola montagna magica).