Dove vanno in vacanza i bidelli?

Si può essere inconsapevoli promotori di inclusività e, al contempo, oggetto di inclusione. Leggere per credere la storia di Sara, collaboratrice scolastica affetta da sindrome di Down.
23 Luglio 2018 | di

C’era una domanda che da bambino mi ponevo ogni estate, per la precisione a giugno, verso la fine della scuola… «Ma dove vanno i bidelli in vacanza?». Chissà se Francesco De Gregori e Lucio Dalla quando hanno scritto Ma dove vanno i marinai si sono chiesti qualcosa di simile… D’altronde, l’etimo della parola «bidello» parla chiaro. Basta, infatti, sfogliare la Treccani per scoprire che l’origine del termine deriva dal latino bidellus ed è legato alla terminologia guerresca, derivato a sua volta da bellum, «guerra» per l’appunto. Il bidello, insomma, nasce come un vero e proprio sergente, sempre in prima linea al momento del bisogno. Il suo campo di battaglia? Naturalmente la scuola, dov’è chiamato ad assolvere compiti di pulizia, gestione degli spazi, a esserci al momento del pranzo, della ricreazione, sull’attenti ai saluti d’entrata come all’uscita. Nel mezzo, al bidello, oggi più pacificamente conosciuto come «collaboratore scolastico», spettavano tuttavia mansioni che andavano ben oltre le suddette azioni.

I bidelli erano e sono a tutti gli effetti quelli che io definisco degli «inconsapevoli promotori di inclusività». Quando un bambino si mette a piangere in classe, per esempio, da chi va? Se un bambino con disabilità è agitato, a chi viene affidato per «prendere aria»? Senza contare chi disturba e viene mandato fuori dalla porta… Chi si occupa di fargli compagnia? Ricordo bene i bidelli delle mie scuole medie. Mi chiamavano fuori dalla classe al momento della ricreazione per chiacchierare, ci facevamo delle grasse risate e venivo sempre a sapere in anticipo qualche succoso pettegolezzo. Ma c’era di più. La loro presenza era il primo biglietto da visita della scuola e spesso finivano, seppur inconsapevolmente, per farsi educatori e mediatori nel rapporto dentro-fuori, tra istituto e famiglia. Oggi le cose sono cambiate e tanti sono i ruoli e le mansioni che prima erano solo di uno, spezzettati e suddivisi tra molte persone. C’è da dire che non tutti i mali vengono per nuocere, anzi. Oggi si può essere inconsapevoli promotori di inclusività e, al contempo, essere oggetto di inclusione.

È successo all’ITCS G. Salvemini di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, qualche tempo fa. Protagonista Sara Yakoubi, 22 anni, polaccotunisina, ex studentessa dell’istituto. Dimenticavo: Sara ha la sindrome di Down. Un bel mix di diversità quello che contraddistingue il Dna di questa ragazza, che tuttavia non le ha impedito di diventare quello che è oggi: un’amatissima collaboratrice scolastica presso la scuola in cui si è diplomata. Oggi Sara si sta impegnando anche per fare carriera e raggiungere il prossimo obiettivo, diventare segretaria. Permettere a una persona con disabilità tutto questo non è stato facile. Ci è voluta la costanza di una vicepreside combattiva, una legislazione aperta e, soprattutto, una scuola che è stata capace di dare fiducia a un «inconsapevole promotore di inclusività » e non ha avuto paura di aggiungere un pezzo, di fare a sua volta inclusione. Questa è la scuola che combatte, che accoglie, che educa al lavoro e al rispetto per la diversità. E voi, vi siete mai domandati dove vanno in vacanza i bidelli? Scrivete a claudio@ accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

Data di aggiornamento: 23 Luglio 2018
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