Scuola, le relazioni difficili

Se la relazione educativa è solo conflittuale, allora abbiamo un problema. Interpellati sono docenti, genitori e studenti: ecco alcune idee per vivere ciascuno il proprio ruolo, dando il meglio con responsabilità.
31 Gennaio 2018 | di

Che il livello di tensione nell’ambiente scuola sia alto è sotto gli occhi di tutti. Del resto, come scrive su «Orizzonte scuola» Vittorio Lodolo D’Oria, medico esperto di stress lavoro correlato, «nel 1979 uno studio a Milano dimostrava che il 30 per cento degli insegnanti faceva uso di psicofarmaci: figurarsi oggi». Ma c’è di più: sarebbe facile rintracciare forme di disagio in tutti i protagonisti del mondo scolastico, e quindi in studenti, genitori, dirigenti scolastici, personale amministrativo, oltre che nei già citati docenti…

«La colpa non è dei maestri, che coi pazzi devono fare i pazzi. Infatti, se non dicessero ciò che piace ai ragazzi, resterebbero soli nelle scuole... E allora? Degni di rimprovero sono i genitori che non esigono per i loro figli una severa disciplina dalla quale possano trarre giovamento... essi devono abituare gradualmente i giovani alle fatiche, lasciare che si imbevano di letture serie e che conformino gli animi ai precetti della sapienza... Invece i ragazzi nelle scuole giocano». Sembra oggi? Peccato che queste parole siano messe in bocca al retore Agamennone nell’incipit del Satyricon di Petronio, primo secolo dopo Cristo…

Come si esce dal tutti contro tutti a scuola? Un buon posto per capire meglio che aria tira e per provare a individuare strumenti che smontino alcune innegabili tensioni in classe è Rimini. Non tanto per il mare o per l’affabilità romagnola, ma perché la città sull’Adriatico è teatro, ogni due anni, in autunno, di uno dei principali appuntamenti dedicati alla scuola, ovvero il convegno «La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale» organizzato dal Centro studi Erickson. Partito come evento specifico per assecondare l’inserimento degli studenti con disabilità, senza tradire la sua origine nel corso degli anni ha allargato il campo d’azione a tutte le sfaccettature dell’inclusione, accogliendo in questa undicesima edizione oltre 4 mila addetti ai lavori – in particolare docenti di ogni ordine e grado – e svariati relatori internazionali, tra i quali alcune firme del «Messaggero di sant’Antonio» come Daniele Novara e Claudio Imprudente.

L’approfondimento – leggibile nella sua forma completa nel numero di gennaio del «Messaggero di sant’Antonio» e nella versione digitale – punta su tre direttrici.

Si inizia mettendosi «dalla parte dei docenti». Interlocutore è Fabio Celi, psicologo e docente di psicopatologia dello sviluppo all’Università di Parma e Pisa, che a Rimini ha affrontato il tema I comportamenti problema: come intervenire in classe. Sottotitolo eloquente: Come aiutare i docenti a non sentirsi soli. «Bisogna fare rete tra gli adulti educanti, e aiutare l’insegnante a lavorare sui propri pensieri ed emozioni, senza cercare di scacciarli o combatterli» spiega l’esperto.

Secondo passaggio, «dalla parte degli studenti». Qui la proposta ha un nome inglese, cooperative learning, (apprendimento cooperativo), a indicare un metodo che permette di sviluppare abilità e competenze sociali attraverso attività in piccoli gruppi, nei quali tutti i partecipanti sono coinvolti alla pari per raggiungere un obiettivo condiviso. Stefano Zamagni, noto economista, su «Vita» ha mostrato quanto paradossale sia lo scarso ricorso all’apprendimento cooperativo. Commentando i possibili benefici dell’alternanza scuola-lavoro, Zamagni ha rilevato che, mentre «nei luoghi di lavoro, tramontato il modello fordista-individualista, prevale da tempo un approccio basato sul modello cooperativo, nelle classi ci si basa ancora su un sistema individualistico, dove è incoraggiata la gara tra studenti per accaparrarsi i voti migliori, le borse di studio più remunerative. È una contrapposizione netta tra lavoro di squadra (o cooperative learning) e competizione posizionale e apprendimento verticale, concetti, questi ultimi, che portano al disorientamento completo dei giovani che arrivano sul posto di lavoro e trovano un modello del tutto diverso».

Per completare il quadro, ci mettiamo «dalla parte dei genitori». Ne abbiamo parlato con Matteo Bussola, disegnatore, scrittore, papà di tre bimbe di 4, 6 e 10 anni, in libreria con il godibilissimo Sono puri i loro sogni. Lettera a noi genitori sulla scuola (Einaudi). Col quale ha deciso di «mettersi nei guai» indicando «tutte le storture alle quali assisto in questi anni di esperienza scolastica da genitore. Mi chiedo: quando noi genitori abbiamo cominciato a vivere la scuola come una specie di servizio nel quale il cliente deve avere sempre ragione? Quando abbiamo cominciato a pensare di dover difendere i nostri figli da chiunque li metta in crisi? Dimenticando che la crisi, la maniera con cui affronti gli ostacoli e le difficoltà, è anche occasione per crescere. In realtà non voglio criminalizzare i genitori e santificare gli insegnanti, che pure hanno le loro responsabilità, ma a me hanno insegnato, proprio a scuola tra l’altro, che la maniera migliore per disinnescare qualunque conflitto è sempre partire da se stessi, da che cosa posso fare io. Invece di continuare a puntarci il dito a vicenda, è più fecondo fare un passo indietro e vedere che cosa succede. In fondo, non abbiamo niente da perdere».

Data di aggiornamento: 31 Gennaio 2018
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