Ecologia fa rima con ecumenismo

Nella vita e nella visione delle Chiese cristiane ecologia ed ecumenismo camminano di pari passo. Per abitare tutti insieme, pur nelle differenze, la nostra Casa comune.
18 Gennaio 2022 | di

A differenza di quanto accade in ambito imprenditoriale (dove economia ed ecologia sono spesso in conflitto), non si sono mai avvertite dicotomie tra ecologia ed ecumenismo, come lo stesso Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, «Patriarca verde», ha più volte evidenziato. Anzi, la crisi eco-logica, e non solo ambientale, oggi più che mai sollecita il movimento ecu-menico ad approfondire la stessa prossimità etimologica, fondata sul termine «casa» (dal greco οἶκος), che esprime la possibilità della coabitazione nelle differenze. Fin dalla Convocazione ecumenica di Seul (1990), promossa dal Consiglio ecumenico delle Chiese, si era addirittura avvertita la chiara necessità di una convergenza delle stesse verso il comune impegno per la «cura della casa comune». L’anno successivo, 1991, durante l’Assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) di Canberra, si era addirittura invocato lo Spirito Creatore, affinché ispirasse le pratiche di incontro e di dialogo tra i credenti, provocati dalla sfida della crisi ambientale.

A livello europeo, poi, anche le Assemblee Ecumeniche di Basilea (1989), di Graz (1997) e di Sibiu (2007) si impegnarono a inserire nella propria agenda il tema ambientale, sottolineando l’urgenza di un’azione comune. Sulla scia dell’assemblea di Graz, anche la Chiesa cattolica italiana ha deciso di costituire (1999) il gruppo «Responsabilità per il Creato» (oggi «Custodia del Creato»), per poi, dal 2006, proporsi di imitare l’iniziativa assunta dallo stesso Patriarcato di Costantinopoli, con l’istituzione della Giornata del Creato e la dedica del mese di settembre alla celebrazione del «tempo del Creato». Inoltre, nel 2015 è arrivata la Laudato si’, l'enciclica sulla «cura della casa comune», di papa Francesco (che ha assunto il nome del santo di tutti): essa rafforza con notevoli novità il cammino intrapreso, è inclusiva, oltre che ecumenica, già con il proposito di superare il riferimento al piano internazionale della Pacem in terris (1963), onde erigersi a manifesto di un appello planetario. Presentata da un climatologo e da un teologo ortodosso, cita Riformati come Paul Ricoeur ed Evangelici come Jürgen Moltmann, oltre a far riferimento, fin dalle prime battute, a Bartolomeo I, cui attribuisce il ruolo di principale ispiratore.

È, dunque, l’intera storia ecumenica della teologia che merita di essere riscritta: quella di una passione per il Creato che dalla Gallia romana di Ireneo di Lione corre verso l’Asia nestoriana di Isacco di Ninive (613-700 ca.), per ritornare, con Ildegarda di Bingen (1098-1179), nell’Occidente monastico e poi incamminarsi nuovamente verso l’Oriente di Serafino di Sarov (1754-1833) e quindi migrare al centro dell’Europa mediterranea, dove il poeta del Cantico, Francesco d’Assisi, estende la fraternità delle creature allo stesso Sultano d’Egitto. Ecumenismo e dialogo interreligioso trovano così un intreccio inedito e fecondo. Con Albert Schweitzer, Teilhard de Chardin e Joseph Sittler, la passione per la sfida ambientale riemerge impetuosa. Si staglia, infatti, agghiacciante, il fronte della manipolazione predatoria dell’era industriale e quello del disastro umanitario dei conflitti mondiali. Dopo il rapporto del Club di Roma sui limiti dello sviluppo (1974), il Movimento ecumenico non manca di cogliere l’accorato appello dell’economista evangelico Paul Abrecht (1917-2005), quello del teologo ortodosso-orientale Paul Varghese (1922-1996) e quello del biologo australiano Charles Birch (1918-2009).

L’apporto delle Chiese protestanti ai temi ambientali evidenzia, in primo luogo, l’importanza della «giustizia ambientale». Richiama, infatti, al dovere della custodia e all’esercizio della responsabilità individuale: un invito alla conversione, per un assiduo impegno a collaborare con Dio al riscatto dell’ambiente contro l’avidità umana. Sempre i Protestanti insistono, poi, sulla necessità di una spiritualità di contemplazione e di lode, che trova anche, in alcuni testi di Karl Barth o di Dietrich Bonhoeffer, un chiaro riferimento ai temi forti della Riforma luterana. Il contributo della eco-teologia nordamericana, in particolare, si distingue per la stimmatizzazione del «razzismo ambientale», che crea discariche e centrali atomiche in ambienti sociali disagiati, periferici, e riempie l’Africa di discariche e di depositi di materiali non riciclabili. Si denuncia, perciò, il deleterio legame tra colonialismo e sfruttamento delle risorse, che proprio la teologia occidentale aveva spesso contribuito a legittimare. I teologi dovrebbero, dunque, sentirsi chiamati a emendare l’antropocentrismo insito nel tradizionale concetto di salvezza, riformulando la stessa antropologia: passando, cioè, da quella del «dominatore» a quella della fragilità e della vulnerabilità solidale.

È proprio sul piano antropologico che la teologia occidentale può trovare soccorso in quella orientale. Nel teocentrismo dei Padri orientali, infatti, l’essere umano è l’unica creatura che sintetizza tutto il Creato, collegando in sé il mondo materiale e quello spirituale: le condizioni della corporeità e della creaturalità con le capacità dell’Imago Dei. Come l’essere umano, cadendo nel peccato, rompe il suo rapporto armonico con le creature, così, nel processo di riconciliazione con Dio, sono le stesse creature ad assumere un ruolo rilevante. L’essere umano che maltratta la natura perde il senso della bellezza; colui che non la cura diventa pigro e chi ne trascura la dimensione naturale, eteronoma, piomba nell’ignoranza. L’essere umano che non è grato per il dono della creazione si rende privo di teognosia (conoscenza di Dio, ndr), diventa spiritualmente cieco e ingrato. Egli, infatti, non può salvarsi senza la creazione, senza, cioè, la terra dalla quale è stato tratto.Il primato assegnato dalla Chiesa orientale all’ambiente muta la stessa dottrina sociale della Chiesa cattolica. L’ecologia integrale della Laudato si’ supera, infatti, tanto l’integralità postulata dalla Populorum progressio (1967), quanto l’interconnessione della Sollecitudo Rei socialis (1987). La complessità, prima solo umana, ora è cosmica e perfino planetaria.

Il grido del povero, cui si aggiunge quello della Terra, postula una nuova centralità ecclesiale per questo testimone privilegiato del degrado ambientale. L’opzione per i poveri, assioma della dottrina sociale cattolica, alla scuola del Patriarca verde assume un valore davvero cosmico. La sapienza del povero fonda, infatti, un’ecclesiologia ecologica, che postula il dovere di un’ospitalità sensibile alla preoccupazione per la plastica depositata nel fondo dei mari o per la fusione dei ghiacciai. La stessa latitudine della missione deve, dunque, eguagliare la profondità degli abissi marini e l’altezza dei picchi montani (LS 41), dove il mistero di Cristo, primogenito di ogni creatura, opera luminosamente fin dalle origini più remote (LS 99-100). La frontiera della missione deve, inoltre, includere la stessa infosfera, già terreno di nuova esclusione, dopo quella subita dalle marginalità urbane e rurali. Urgono, allora, nuovi Ministeri che immergano nello splendere della bellezza, affinché il mistero delle relazioni faccia di tutti gli esseri creati una famiglia di fratelli e di sorelle, per un’ecumene davvero planetaria, una vera «casa comune», a imitazione dell’armonia cantata dagli ecosistemi.

 


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Data di aggiornamento: 20 Gennaio 2022

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