Elisabetta, santa degli ultimi
Quando pensiamo a Elisabetta d’Ungheria la mente corre subito alla principessa intenta a distribuire pagnotte ai poveri, la nobile dal grembiule colmo di rose (in riferimento al suo miracolo più noto) tanto raffigurata dai pittori nel corso dei secoli. Ma dietro l’immagine della santa patrona dell’Ordine francescano secolare (che si celebra il 17 novembre), figlia di re Andrea d’Ungheria e sposa di Lodovico IV di Turingia, c’è molto di più. A ricordarcelo è Benedetto XVI, durante l’udienza generale del 20 ottobre 2010: «Nella sua profonda sensibilità Elisabetta vedeva le contraddizioni tra la fede professata e la pratica cristiana. Non sopportava i compromessi. Una volta, entrando in chiesa nella festa dell’Assunzione, si tolse la corona, la depose dinanzi alla croce e rimase prostrata al suolo con il viso coperto. Quando la suocera la rimproverò per quel gesto, ella rispose: “Come posso io, creatura miserabile, continuare ad indossare una corona di dignità terrena, quando vedo il mio Re Gesù Cristo coronato di spine?”».
Al servizio della giustizia e della carità, «Elisabetta praticava assiduamente le opere di misericordia: dava da bere e da mangiare a chi bussava alla sua porta, procurava vestiti, pagava i debiti, si prendeva cura degli infermi e seppelliva i morti. Scendendo dal suo castello, si recava spesso con le sue ancelle nelle case dei poveri, portando pane, carne, farina e altri alimenti. Consegnava i cibi personalmente e controllava con attenzione gli abiti e i giacigli dei poveri». Ispirata dagli insegnamenti di san Francesco, appresi dal padre spirituale fra Ruggero, anche quando rimase vedova e venne cacciata dal castello di Wartburg per opera del cognato usurpatore, Elisabetta di Turingia proseguì la sua missione.
«Peregrinando per i villaggi – continua Benedetto XVI –, Elisabetta lavorava dove veniva accolta, assisteva i malati, filava e cuciva. Durante questo calvario sopportato con grande fede, con pazienza e dedizione a Dio, alcuni parenti, che le erano rimasti fedeli e consideravano illegittimo il governo del cognato, riabilitarono il suo nome. Così Elisabetta, all’inizio del 1228, poté ricevere un reddito appropriato per ritirarsi nel castello di famiglia a Marburgo, dove abitava anche il suo direttore spirituale Corrado. Fu lui a riferire al Papa Gregorio IX il seguente fatto: “Il venerdì santo del 1228, poste le mani sull’altare nella cappella della sua città Eisenach, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni frati e familiari, Elisabetta rinunziò alla propria volontà e a tutte le vanità del mondo. Ella voleva rinunziare anche a tutti i possedimenti, ma io la dissuasi per amore dei poveri. Poco dopo costruì un ospedale, raccolse malati e invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili e i più derelitti. Avendola io rimproverata su queste cose, Elisabetta rispose che dai poveri riceveva una speciale grazia ed umiltà” (Epistula magistri Conradi, 14-17)».
Elisabetta trascorse gli ultimi tre anni della sua vita nell’ospedale che aveva fondato, servendo i malati e svolgendo i servizi più umili. «Ella divenne quella che potremmo chiamare una donna consacrata in mezzo al mondo (soror in saeculo) e formò, con altre sue amiche, vestite in abiti grigi, una comunità religiosa. Non a caso è patrona del Terzo Ordine Regolare di San Francesco e dell’Ordine Francescano Secolare». Nel novembre del 1231, dopo una decina di giorni di malattia, Elisabetta morì a soli 24 anni. Quattro anni dopo, a fronte delle molte testimonianze sulla sua santità, papa Gregorio IX procedette alla canonizzazione.
«Nella figura di santa Elisabetta – conclude papa Benedetto XVI – vediamo come la fede, l'amicizia con Cristo creino il senso della giustizia, dell'uguaglianza di tutti, dei diritti degli altri e creino l'amore, la carità. E da questa carità nasce anche la speranza, la certezza che siamo amati da Cristo e che l'amore di Cristo ci aspetta e così ci rende capaci di imitare Cristo e di vedere Cristo negli altri. Santa Elisabetta ci invita a riscoprire Cristo, ad amarLo, ad avere la fede e così trovare la vera giustizia e l'amore, come pure la gioia che un giorno saremo immersi nell'amore divino, nella gioia dell'eternità con Dio».
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