Fame d'amore
«Carissimi Edoardo e Chiara. Vi scrivo perché sto passando un brutto periodo. Sono un insegnante e questi due ultimi anni sono stati particolarmente difficili a causa del covid: dalla didattica a distanza all’aumento della burocrazia e dell’impegno a noi richiesto fino alle problematiche emergenti nei ragazzi. Tutto è risultato molto più difficile degli anni precedenti. In più, nel momento in cui vi scrivo, siamo nel mezzo della guerra in Ucraina e il mio cuore è straziato nel sapere di così tanta gente che dall’oggi al domani deve lasciare la propria vita e scappare da casa oppure morire sotto le bombe. Anche il mio matrimonio non sta andando bene, non ci stiamo lasciando, ma ormai da anni è tutto piatto; mio marito pensa solo al lavoro e ai suoi giri in bici e per lui va sempre tutto bene, mentre io mi ritrovo scontenta perché, secondo me, non c’è condivisione e affetto, ormai ognuno dei due fa la propria vita e ci parliamo solo per questioni organizzative o per i figli. Infine sono madre di due figli adolescenti che non vogliono più parlare con me, uno si chiude in camera con il suo computer e il cellulare, l’altra è tutta presa dalle amicizie e io sono solo funzionale a scarrozzarla in macchina. Capisco che ci sono vite molto più dure della mia, ma proprio non riesco a vedere qualcosa di buono attorno a me e mi sento spesso sola e amareggiata. Che cosa posso fare?».
Giuliana
Carissima Giuliana, le insoddisfazioni che ci porti sono di diverse origini – lavorative, sociali, genitoriali e coniugali – e l’impressione complessiva che trasmetti è di una donna che vive un presente grigio e immagina un futuro nero. Sinceramente ci dispiace per la fatica presente nella tua vita e non sappiamo se ti possa consolare il fatto di non essere l’unica a viverla. Da quello che raccogliamo ascoltando le persone, il malcontento presente nelle famiglie rispetto alla propria vita di coppia e alla relazione con i figli, soprattutto se adolescenti, è un morbo molto più diffuso del coronavirus e le «medicine» per poterne guarire non sono facili da reperire. Inoltre, dopo due anni di restrizioni e di paure (chi del virus e chi del vaccino) è piombata nel mezzo della nostra apparentemente pacifica Europa una guerra devastante che ci ha ulteriormente ricordato quanto fragile sia la nostra esistenza.
Alla già presente frustrazione del tuo bisogno di vicinanza nella relazione coniugale, quindi, si è aggiunta una necessità crescente di sicurezza e tranquillità. Questi bisogni sono ovviamente legittimi, il loro soddisfacimento è qualcosa che è giusto ricercare: a fare la differenza è il «come». C’è un passaggio del Vangelo in cui anche Gesù si ritrova abitato da un bisogno insoddisfatto, durante i suoi quaranta giorni nel deserto: si ritrova, infatti, ad avere fame (Mt 4,1-4), dopo un lungo periodo di digiuno. Un po’ come sta accadendo a te che, dopo più di due anni di coronavirus, in un matrimonio diventato stagnante, con una relazione difficile con i figli e con l’insicurezza della guerra (vari tipi di digiuno) sei ora abitata da bisogni non «sfamati». La prima tentazione di Cristo ci racconta però che i bisogni insoddisfatti sono il terreno preferito in cui opera il diabolico. Quindi sii consapevole che proprio adesso che sei nel momento più provante della tua esistenza umana e familiare il diabolico si farà più presente. Nel brano citato la soluzione che il diavolo suggerisce a Gesù per sfamare il suo appetito è quella di trasformare un sasso in pane.
Quante volte abbiamo chiesto anche noi di trasformare i sassi in pane? Tutte le volte che pretendiamo che nostro marito sia un po’ più dolce e affettuoso; che nostra moglie sia più sessualmente disponibile, o più tranquilla; quelle in cui ci lamentiamo dei nostri figli; oppure quando abbiamo atteggiamenti disfattisti in generale. In ciascuna di queste occasioni noi cadiamo nella tentazione di chiedere ai sassi di diventare pane, di diventare, cioè quello di cui abbiamo bisogno per saziare i nostri appetiti. Ovviamente non stiamo dicendo che non si possa muovere nessuna critica, o che non possiamo legittimamente chiedere: la questione è che non possiamo pretenderlo, venendo meno al rispetto per le forme e i tempi della realtà. Il problema sussiste quando il nostro bisogno insoddisfatto detta legge e vuole comandare le persone e le cose. La realtà non è fatta per accontentarci, ma è un’occasione per trasformarci. Se è quaranta giorni che non mangi è logico che hai fame, ma è altrettanto logico che se sei in un deserto da mangiare non ce n’é, e che un sasso non può diventare un panino. La vita a volte ci chiede di «abitare la nostra fame», di accettare che non vi sono risposte immediate per soddisfarla e di non illuderci che se rimproveriamo il coniuge o i figli, questo li porterà a conformarsi ai nostri appetiti.
Gesù risponde al tentatore che possiamo sfamarci di altro, cioè della relazione amorosa con il Padre. Questo significa che la nostra fame di affetto, sicurezza, tranquillità, rimarrà insoddisfatta, eppure ci sentiremo per così dire «sfamati nella fame», amati nella mancanza di affetto, sicuri nelle insicurezze del mondo, sereni nelle fatiche della realtà. Sfamarci delle Parole del Padre significa che possiamo abitare i nostri bisogni insoddisfatti e non cedere alle loro pretese di soddisfazione, perché il vero cibo che ci può nutrire è quello del significato nuovo che la Parola ci può donare sulle intemperanze dei figli, sulle inconsistenze del coniuge, sui drammi della storia. A volte non possiamo cambiare la realtà, ma solo il nostro modo di vederla e di viverla. E questa è la vera libertà che solo le parole del Padre ci possono donare, placando la nostra fame.
Edoardo e Chiara Vian
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