Famiglia, scuola di vita
«Cari Edoardo e Chiara, siamo Luca e Angela, abitiamo in provincia di Modena e come coppia ci vogliamo bene e non siamo in crisi. Leggiamo volentieri la vostra rubrica e ci piacciono molto gli spunti che proponete per la relazione ma, se dobbiamo essere sinceri, a volte ci sembrano impraticabili. Certamente se una coppia non ha figli e ha dei lavori con orari da ufficio pubblico, forse ha le energie e il tempo per mettere in pratica quella cura della relazione che molte volte suggerite, ma noi abbiamo due bambini, uno alle elementari e uno alle scuole medie, entrambi fanno sport (e ci tengono molto) e frequentano il catechismo in parrocchia. I nostri genitori abitano abbastanza lontani da noi e possono aiutarci solo in caso di estrema necessità e tra mutuo della casa e sostentamento della famiglia sia io che mio marito dobbiamo lavorare. Io fortunatamente finisco il mio lavoro nel primo pomeriggio e riesco ad andare a prendere i bambini a scuola, mio marito invece ha un lavoro in proprio e torna a casa per la cena. Le nostre serate sono uno stillicidio delle ultime energie fisiche e psichiche nell’accompagnare i figli a letto, e poi crolliamo. Nel fine settimana, tra partite dell’uno e dell’altro, lavori casalinghi, Messa e catechismo, solitamente ci rimane libera solo la domenica pomeriggio che però non ci basta per recuperare le energie. Come si fa in tutto questo a prendersi cura della coppia? Come si fa a coltivare una bellezza quando ci sono periodi in cui ti sembra di sentire solo fatica?».
Dinanzi alle vostre domande, la prima cosa da fare è... porsi altre domande: «Qual è il fine ultimo di tutte le fatiche che compio, dentro a quale prospettiva le pongo? Vivo la mia vita di corsa solo perché le cose vanno fatte e mi “tocca” farle, oppure posso “utilizzare” le mansioni quotidiane per una finalità più realizzante?». Anche noi due ci ritroviamo nella descrizione che avete fatto: a volte ci sentiamo soccombere sotto il peso del quotidiano, ma poi una vocina dentro di noi (magari mentre siamo in macchina ciascuno per conto proprio o sotto la doccia...) ci dice: «Ma che significato vuoi dare a queste incombenze? Perché porti a basket tuo figlio? Perché lavori? Perché fai quello che fai?». La risposta è una sola: «Per amore!». Dinanzi a essa, tutta la vita comincia ad assumere un altro colore: non sto solo lavorando, sto amando; non sto solo mettendo a letto i miei bambini, sto amando; non sto solo facendo un servizio per la Chiesa, sto amando. Allora in ogni cosa che facciamo possiamo vivere e dimostrare l’amore per nostra moglie o nostro marito, i nostri figli, i fratelli e le sorelle e serve a noi stessi per imparare ad amare. Questa consapevolezza ci ricolloca nella giusta prospettiva; ovviamente non elimina le stanchezze o il sonno, ma cambia il sapore della realtà che non ha più quello sterile gusto di obbligo o di dovere subìto.
C’è poi un ultimo passaggio, ed è quello che passa attraverso una domanda ineludibile: «Ma per chi faccio quello che faccio? Per me e il mio benessere, per i miei familiari e per il bene che voglio loro o per quel Padre che è nei cieli?». La risposta, inevitabile, cambia completamente i riferimenti rispetto a quello che stiamo facendo e al come lo stiamo facendo.
Buon cammino.
Edoardo e Chiara Vian
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