«Litighiamo per colpa dei miei»
«Ciao Edoardo e Chiara. Ho deciso di condividere con voi un peso che mi porto nel cuore. Sono sposato da quattordici anni e abbiamo due stupendi figli di 3 e 8 anni. Da un po’ di mesi il rapporto con i miei genitori (persone molto credenti e volontari da una vita in parrocchia) è un po’ in crisi. Io a fatica cerco di superare e perdonare, ma mia moglie non ci riesce, per giusti motivi che rispetto e condivido. Questa situazione mi appesantisce il cuore. Prego sant’Antonio di riportare serenità in famiglia e chiedo a voi un consiglio».
Un lettore
Carissimo lettore, ringraziamo te e quanti ci stanno scrivendo e ci scusiamo se a volte le nostre risposte tardano ad arrivare. Non ci dai molti elementi per risponderti, non sappiamo quale sia il motivo della crisi del rapporto con i tuoi genitori, non sappiamo che cosa tu debba perdonare e non sappiamo i motivi per cui tua moglie non ci riesce. Comunque, ci dai un’occasione per riflettere sui rapporti delle coppie con le proprie famiglie di origine, soprattutto quando questi sono difficili e provocano divisione.
Forse è il tuo caso, o forse no, ma a noi spesso è capitato di incontrare coppie che venivano turbate soprattutto dalla relazione con la famiglia di origine dello sposo, perché i genitori, a parere dei «giovani» coniugi, preferivano e avvantaggiavano rispetto a lui un fratello o una sorella. Qualche esempio? Si occupavano sempre di alcuni nipoti (figli di uno dei loro figli) e quando la coppia in questione chiedeva una disponibilità per i propri figli i genitori storcevano il naso. Oppure, davano prestiti o proprietà a un figlio, mentre l’altro doveva far fronte all’impegno economico interamente da solo (o in coppia col proprio coniuge). Ancora: la famiglia di uno dei figli era spesso a pranzo da loro, mentre moglie e figli dell’altro erano raramente invitati. Ovviamente i genitori di questo giovane sposo «trascurato», a parole continuavano a dichiarare di non avere preferenze per alcuno dei figli, ma poi i fatti sembravano mostrare altro.
In queste o analoghe situazioni spesso il figlio svantaggiato tendeva a riconoscere la sproporzione tra lui e suo fratello, ma a viverla come un dato di fatto: dentro di sé risuonava come un «è così e non ci posso far niente», con un atteggiamento apparentemente accogliente e benevolo verso i propri genitori. La sua sposa, però, leggeva questa mitezza come debolezza, era spesso ferita dall’atteggiamento dei suoceri (di solito affermando che a casa sua le cose non erano così), e il fatto che suo marito non si facesse valere, non rivendicasse una parità di trattamento, veniva letto come accondiscendenza a una ingiustizia, un sostanziale «possiamo far umiliare la nostra famiglia, l’importante è non turbare la serenità dei miei cari genitori». Da questo quadro, ovviamente un po’ semplificato, nascevano gli scontri interni alla coppia, che rischiavano di compromettere la serenità della relazione.
La domanda allora è: a quale missione sono chiamati i coniugi in questa o altre simili situazioni? A proteggere in tutti i modi il bello e il buono della loro sponsalità.
Ovviamente questo chiede un reciproco spostamento di posizione. Vale a dire un comprendere che, quando comincio a credere che il mio sguardo sulla realtà sia la totalità e non un frammento di parzialità, rischio di non poter far spazio alla prospettiva dell’altro. Che quello che penso (per esempio: «Sono fatti così, perdoniamoli e andiamo avanti», oppure: «Non è che tutto fa lo stesso: tu ci devi proteggere») va sempre integrato con quello che sta dentro alla profondità dell’altro.
Caro lettore, nel tuo caso specifico tua moglie probabilmente ha bisogno di sentirsi rassicurata che tu per lei ci sei, che la tua famiglia è preziosa per te e sei disponibile a difenderla anche se questo ti costerà, che la tua alleanza adesso è per e con lei, non con la tua famiglia di origine (che entrambi avete lasciato per unirvi e diventare una carne sola).
Ovviamente tua moglie dovrà comprendere che difendere la propria famiglia non significa necessariamente entrare in guerra con qualcuno, che la tua famiglia di origine nel bene e nel male rappresenta le tue radici e che se ti metti a combattere le tue radici rischi di far morire anche te stesso.
La sfida, per entrambi, è quella di comprendere che nel matrimonio siamo creature nuove: proteggere la propria famiglia di origine a oltranza o, al contrario, avere nei suoi confronti solo un atteggiamento di pretesa sono, ambedue, posizioni errate, figlie della mancata consapevolezza che la santità per gli sposi può passare solo attraverso la cura della propria coniugalità, non arriva dall’esterno. Insieme al Signore (senza di Lui, infatti, non possiamo fare nulla!) noi sposi siamo chiamati a custodire e a rinnovare continuamente il sacramento che ci unisce. Tutto quello che ci divide è da estirpare, ma, per farlo, dobbiamo lasciar entrare lo sguardo dell’altro nel nostro e morire un po’ per rinascere assieme.
Infine, regaliamo a te, a tua moglie ma anche a tutti i nostri lettori, un piccolo consiglio pratico. Sappiamo bene che c’è una parte di noi specializzata nel darci sempre ragione. Dobbiamo tenerne conto e, invece di coltivare pensieri autoaffermanti, provare a chiederci: ma il mio continuare a spingere in questa direzione sta aiutando la nostra relazione o la sta imbruttendo? E, di conseguenza, allontanare ogni pensiero che comincia con il «Eh sì, ma…», «Eh sì, però…». Datevi una riposta secca e sincera: se essa è che non state facendo qualcosa di funzionale a far uscire la bellezza delle vostre nozze, allora qualcosa va messo sicuramente in discussione, a partire dal singolo, da me stesso (marito o moglie che sia).
Che sant’Antonio veramente vi aiuti a custodirvi reciprocamente.
Edoardo e Chiara
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