Ritrovarsi «on the road»
Leisure seeker, «cerca-svago» è il nome del camper a bordo del quale i due anziani coniugi John ed Ella Spencer fuggono dalla loro casa per un viaggio. Fuggono… Più esattamente decidono di operare un distacco dalla vita ordinaria per cercare un senso ai giorni che restano. È l’esplorazione di una nuova intimità, la variazione improvvisata di uno stile esistenziale felice per loro e degno di fronte a tutti. John ed Ella, ultrasettantenni, sono malati: lui soffre di demenza intermittente in fase iniziale; lei è in chemioterapia e indossa una parrucca per nascondere la brutta calvizie. La malattia li sconcerta, ferisce e spaventa; ma non è l’ultima parola. La paura non li ammutolisce e i rischi legati alla fragilità non li gettano nel panico o nell’ipocondria. Intendono vivere una stagione difficile senza scivolare in un fatalismo codardo e neppure in una medicalizzazione ossessiva. La malattia si rivela quindi un tempo per decidere, per capire ciò che conta.
La patologia li ha posti sotto scacco: lui è assediato da amnesie, idee deliranti, vissuti di disorientamento. Lei è debole, barcollante, costretta a una frequente assunzione farmacologica. Ma si aiutano a vicenda, imparano ad accettare i reciproci rimproveri, a coprire i punti deboli della coppia. Chi li incontra è tentato di irriderli o profittare delle loro limitazioni, ma avverte inevitabilmente il fascino della loro intesa e impara qualcosa della loro gioiosa spensieratezza.
La sera Ella e John vanno al cinema a modo loro, rivedono le diapositive della loro storia di coppia, si interrogano sui nomi delle persone e sui significati di antichi gesti. Gruppi di sconosciuti campeggiatori li avvicinano, sedotti dallo stile sobrio ed elegante di questo esercizio autobiografico a due. Le immagini proiettate sono un film embrionale, miracolosamente scampato al disordine, musicato da commenti ciarlieri e risate inaspettate. Ella e John fanno cinema: sono gli attori e assieme i registi, i personaggi e le voci narranti di una trama sceneggiata in parte da loro, dai familiari, dagli amici e in parte imposta dal caso, da un destino più o meno amico. La parola fine, «The End», vogliono comunque scriverla loro. E lo faranno in forme discutibili.
Ella & John è un film sulla memoria. Sulla memoria della propria originale identità e sulla coerenza al proprio genuino stile esistenziale, tutte qualità che l’apparato medicale e le istituzioni sanitarie rischiano di frantumare e svuotare, in nome di un’impersonale efficienza diagnostica e organizzativa. I due amanti temono che le difficili, inesorabili scelte assistenziali, ormai prossime, minaccino la loro confidenza, li imprigionino in reparti separati, spezzino l’unità corporea e affettiva che soffia nel loro spirito di coppia. Alla prevedibile, ordinata routine ospedaliera preferiscono la spontanea vitalità di un acciaccato camper. Preferiscono il viaggio.
La regia di Virzì, alla sua prima prova americana, si limita a tenere sotto controllo una materia esplosiva (la straziante opposizione al degrado corporeo, il rifiuto di terapie inadeguate, gli inevitabili conflitti familiari in geriatria), dando un ritmo ordinato e confezione pulita a una trama che rischia qua e là di cadere nell’inverosimile, nel patetico, nel prevedibile, nell’edulcorato, nel politicamente corretto, nell’enfatico. Viene così lasciato campo aperto a due straordinari attori, con cui lo spettatore non esita a identificarsi nell’anticipare le domande etiche più scottanti, quelle che ci riguardano tutti sin d’ora: quali sono i fattori che qualificano una terapia come proporzionata o invece come accanita, eccessiva? Quale peso ha la continuità dei ricordi nell’identificare un soggetto come la stessa persona di prima, offrendole cura massima ed eguale e rispettando le sue decisioni anticipate?