Francesco, l’italiano più grande

Da poche settimane in libreria, l’ultimo volume di Aldo Cazzullo, dedicato a san Francesco, ci racconta la storia di un uomo, un frate, un santo che ha segnato profondamente la storia dell’Italia e ha contribuito a forgiare il «carattere» degli italiani.
04 Ottobre 2025 | di

Che parlino di Mussolini o della Resistenza, di Dante o del Risorgimento, le pagine di Aldo Cazzullo scorrono veloci e appassionanti come quelle di un romanzo. E non fanno eccezione quelle dell’ultimo suo libro: Francesco. Il primo italiano, in libreria dal 16 settembre, edito da HarperCollins.

Msa. Perché un libro su san Francesco, al di là del prossimo importante anniversario legato alla sua morte (1226)? 

Cazzullo. In tutti i miei libri ho  sempre cercato di ricostruire l’identità italiana, che si trattasse del Risorgimento (Viva l’Italia) o della Prima guerra mondiale (La guerra dei nostri nonni), del fascismo (Mussolini il capobanda) o della Resistenza (Possa il mio sangue servire). Anche quando sono andato all’indietro: Dante, l’Impero romano, la Bibbia… San Francesco non poteva mancare, perché è un personaggio fondativo della nostra identità. 

Chi è il «tuo» san Francesco? 

Per me san Francesco è il primo italiano. Perché è il primo a scrivere una poesia in italiano, il Cantico di frate Sole. Perché inventa il presepe, reinventa il teatro, visto che le sue prediche erano, oggi diremmo, una performance: danza, canto, musica, mimo… Reinventa la pittura: prima di lui i santi erano ritratti fissi, immobili e si stagliavano su uno sfondo omogeneo color oro; dopo di lui, grazie al suo amore per tutte le creature, Giotto e i suoi seguaci cominciano a dipingere il paesaggio sullo sfondo dei quadri. E poi Francesco nasce, vive e muore nel cuore d’Italia, in Umbria, anche se viaggia moltissimo. 

Come ti spieghi l’incredibile attualità del suo messaggio?

Francesco è il fondatore dell’umanesimo, quel grande contributo che noi italiani abbiamo dato all’umanità: l’uomo che è il centro del mondo, che ha un rapporto diretto con Dio, che ha una dignità che va sempre rispettata. La considerazione per le donne, l’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio. Sono tutti valori attualissimi. Ci sono inoltre almeno tre ambiti del mondo di oggi in cui il suo messaggio è ancora fondamentale: la pace (rischiamo di distruggerci con la guerra nucleare), l’ambiente (Dio ci ha affidato la creazione e noi oggi la stiamo distruggendo) e, soprattutto, le disuguaglianze crescenti. Francesco vive in un tempo grandioso e terribile, in cui nascono le città, le università, le cattedrali, le banche, la finanza – in cui si accumula moltissimo denaro concentrato nelle mani di pochi, proprio come adesso – e lui sceglie di essere povero per essere libero, per non avere niente da perdere, nulla da difendere e nessuno cui sentirsi superiore. Era illetterato e sottomesso a tutti. E poi c’è il rispetto per il lavoro. Francesco scrive: dobbiamo lavorare ed essere remunerati non in base all’autorità, ma in base al lavoro. Pensiamo oggi quanti manager ricevono bonus milionari, dopo aver lavorato male, solo perché sono manager; oggi viene pagato lo status, l’auctoritas avrebbe detto Francesco, e non il lavoro. Francesco è davvero moderno. 

Nel libro affermi di amare san Francesco da sempre. Ma c’è un aspetto che più di altri ti ha colpito ripercorrendone la vita? 

La sua umiltà. Io sono legatissimo a Francesco, sono sempre andato ad Assisi, sono stato a La Verna, a Gubbio, a Subiaco, dove c’è il suo primo ritratto, sono stato a San Giovanni Rotondo, a Greccio, a Cortona e poi ho visitato ovviamente la Basilica di Sant’Antonio, che è un luogo francescano, perché Antonio è stato il primo grande santo francescano. Ho chiamato il mio primogenito Francesco. Insomma, ho un legame spirituale molto forte col francescanesimo… E sempre di Francesco mi ha colpito la scelta della povertà, dell’umiltà, di nuovo quell’«ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti». Francesco da questo punto di vista è davvero rivoluzionario. In un’epoca gerarchizzata come il Medioevo, lui crea una comunità in cui vige l’uguaglianza; accoglie le donne da pari a pari, in un’epoca in cui ci si chiedeva se le donne avessero l’anima e qualcuno rispondeva di no. Addirittura Francesco molto spesso si pensa come madre, come donna. A un compagno scrive: se ti manca tua madre, vieni da me. Ai frati che vogliono trascorrere un periodo in eremo raccomanda che siano almeno tre o quattro e che due facciano da madri e gli altri (o l’altro) da figli. E ancora: noi siamo sposi, fratelli e madri di Gesù; siamo sposi di Gesù quando seguiamo i suoi insegnamenti, siamo suoi fratelli quando obbediamo a Dio che è suo padre e siamo madri quando lo portiamo nel cuore e lo generiamo attraverso le opere. Lo trovo meraviglioso.

E noi italiani che cosa dobbiamo a san Francesco? 

San Francesco è la parte migliore di noi. È la nostra aspirazione alle cose belle e alle cose buone. È il nostro slancio verso la pace, verso l’amore. Terziari francescani sono stati quasi tutti i grandi italiani: Dante, Giotto, Petrarca, Boccaccio, Tasso, Manzoni, Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci, forse Galileo. Di sicuro Volta, Galvani, Marconi, i nostri più grandi scienziati. Don Bosco, il fondatore dei Salesiani, Alcide De Gasperi, il padre della nostra democrazia… È come se Francesco avesse, non dico, banalmente, «portato fortuna», ma ispirato, guardato dall’alto con benevolenza, tutti gli italiani che cercavano di fare qualcosa di buono, di giusto, di nobile.

In un passaggio, molto bello a mio avviso, del libro, scrivi che Francesco è venuto per aiutarci a ritrovare noi stessi: cioè?

Avete notato che a Francesco non si chiedono miracoli? Semmai è sant’Antonio che fa i miracoli, padre Pio. Francesco no, in vita li ha fatti ma sempre malvolentieri, sempre in modo molto schivo. Una volta fece un esorcismo. Terminato, se ne andò via velocissimo, cercando di sfuggire alla donna che lo inseguiva per ringraziarlo. Deve essere stata una scena tipo quella che vedevamo a suo tempo in tv, con Enrico Cuccia che cercava di sfuggire per Milano all’inviato di Striscia la notizia... Francesco non voleva essere ringraziato, non voleva trarre dai miracoli motivo di vanagloria. Il suo vero miracolo è dimostrare che si può cambiare, migliorare, che è sempre possibile salvarsi l’anima. 

Veniamo al profilo psicologico di Francesco, che nel libro tratteggi con cura. 

La figura di Francesco è stata un po’ edulcorata nel corso dei secoli. Lui era un semplice, ma non un rozzo, un illetterato, una persona non colta. Aveva una visione anche culturale, sociale, politica. Era quasi sempre di buon umore, ma era capace di grandi indignazioni, come quando un suo frate rifiuta di dare l’elemosina a un povero, e lui allora lo fa spogliare, inginocchiare e lo costringe a baciare i piedi al povero. Poi non vuole comandare, infatti lascia la guida dell’Ordine. Però era capace di grandi slanci. Certo, non era mai accomodante, era sempre sfidante; la sua vita è un grande scandalo. Rischiò di passare per pazzo, per eretico, ma lui non voleva distruggere la Chiesa, lui voleva salvarla. 

Anche i suoi rapporti con l’Islam, scrivi, sono stati di un’attualità disarmante... 

Francesco parte per le Crociate. Ha un sogno premonitore, vede una grande sconfitta, e dice ai crociati: non andate in battaglia, perché perderete. Ma quelli non gli danno retta, vanno e perdono veramente e Francesco soffre moltissimo nel vederli tornare feriti, morti… Allora che cosa fa? Va dal sultano e cerca di convertirlo. Qui, la tradizione racconta l’episodio della prova del fuoco (che anche Giotto dipinge). In sintesi: il sultano accende un fuoco, e chi, tra i suoi consiglieri spirituali e Francesco, lo attraverserà indenne, convertirà l’altro alla sua religione. Francesco non entra nel fuoco, ma è pronto a farlo; non fa il miracolo, ma lo crede possibile; mentre gli uomini del sultano scappano spaventati. Alla fine, non c’è né una conversione né un martirio, resta un incontro. Un atteggiamento di dialogo e di rispetto reciproco di cui ci sarebbe molto bisogno oggi.

Nel libro parli anche di francescani illustri, come sant’Antonio. Chi è per te Antonio di Padova? 

Io sono legatissimo a sant’Antonio, anche grazie al rapporto antico che ho con il «Messaggero di sant’Antonio». Ero presente quando ci fu l’ultima ostensione della reliquia del corpo di sant’Antonio (2010), ho passato la notte lì, fu meraviglioso, dolcissimo. Antonio, il primo grande santo francescano, una figura luminosa, straordinaria, meravigliosa. Un uomo pieno di pietà e misericordia, grande oratore e predicatore, e anche lui, come Francesco, non predicava la morte, la paura, ma la gioia, la felicità di essere cristiani, l’amore… Una figura davvero stupenda. Poi è bello pensare che, pur essendo portoghese, ormai i padovani e noi italiani in generale lo consideriamo «uno dei nostri». 

In definitiva, tra le molte eredità che Francesco d’Assisi ci ha lasciato, qual è la più importante? 

Alla fine, il nocciolo duro dell’insegnamento di Francesco è che nessuno si salva da solo. Che l’umanità è una, che dovremmo amarci l’un l’altro. Il Vangelo dice che siamo tutti fratelli, ma c’era bisogno di qualcuno che ci mostrasse con la sua stessa vita, con il suo sacrificio, il suo sangue, il suo dolore, che è possibile vivere da fratelli. Per questo Francesco per me è il più grande italiano che sia mai vissuto e in questo senso è anche il primo italiano, il più grande degli italiani.

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Data di aggiornamento: 04 Ottobre 2025
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