La straordinaria vita di Francesco
Cerco il volto di sant’Antonio tra i frati riuniti in capitolo ad Arles. Ecco, lo vedo subito, in piedi, di lato. Si è accorto che sta accadendo qualcosa di prodigioso: san Francesco è apparso proprio mentre lui sta predicando ai frati. Ha le braccia alzate, rivolte al cielo. Ora sembra che stia rivolgendosi esattamente ad Antonio, che lo osserva con un’espressione serena. Gli altri frati sono seduti, solo alcuni di loro si rendono conto dell’apparizione. Attorno al 1295, Giotto aveva già raccontato questo miracolo tra le ventotto scene delle Storie di san Francesco con cui aveva affrescato le pareti della basilica superiore di Assisi. Venti anni più tardi, una ricchissima famiglia di banchieri fiorentini, i Bardi, vuole che Giotto affreschi con le stesse Storie anche la loro piccola e prestigiosa cappella a fianco dell’altare maggiore nella basilica di Santa Croce a Firenze. Giotto ha già più di 50 anni, non è più il giovane artista che aveva avuto il coraggio di affrescare la chiesa di Assisi, la sua fama è già grande, consolidata, ha una sua bottega, dà lavoro a numerosi ragazzi. Firenze è la sua città: accetta la proposta dei Bardi, per la seconda volta si immerge nella vita di san Francesco. Santa Croce non è un luogo qualsiasi: qui, secondo la tradizione, l’Asissiate si era fermato nel 1211. Qui i francescani avevano già costruito, in un terreno paludoso, una piccola cappella dedicata alla Croce: con il tempo sarebbe diventata una meravigliosa Basilica e un convento.
Accanto alle restauratrici
È un’emozione felice avere il privilegio di scalare le impalcature dove sono al lavoro le restauratrici dell’Opificio delle Pietre Dure, incaricate di ritrovare lo splendore delle pitture di Giotto. È così che ho incrociato lo sguardo di sant’Antonio (così diverso nell’interpretazione giottesca dalla sua iconografia classica) che non perde di vista l’apparizione di san Francesco. Fino a luglio del 2025, nei fine settimana, sarà possibile visitare (cinque persone per volta) il cantiere del restauro e sorprendersi di fronte agli affreschi che narrano, in sei scene, la vita di Francesco.
Maria Rosa Lanfranchi, restauratrice e conservatrice dell’Opificio delle Pietre Dure, prestigioso centro fiorentino del restauro, ha un carattere tosto, ma appena comincia a raccontare di questi affreschi appare tutta la sua passione. Riesce a dialogare con i pigmenti, con l’azzurro del cielo giottesco, con la calce bianca, ed è capace di tradurre per noi ciò che le pietre, le polveri, i colori, dicono con il loro silenzioso linguaggio. Le sue raccomandazioni sono ordini: «Non scrivete che abbiamo scoperto i segreti di Giotto: abbiamo imparato a conoscerlo meglio, questo sì. Non scrivete che gli affreschi hanno ritrovato il loro splendore: abbiamo voluto far ammirare la bellezza che ancora queste pitture possono dare». Oramai sono quindici anni di lavoro: il restauro cominciò nel 2010, grazie al supporto della Getty Foundation di Los Angeles, con una lunga e complessa «campagna diagnostica», l’esplorazione, cioè, degli affreschi con tecniche fotografiche innovative. Anni di studio, segnati anche dal covid, prima di aprire, nel settembre del 2022, il cantiere operativo. Erano passati oltre settant’anni dall’ultimo restauro.
I sette secoli di vita di questi affreschi (ma una parte importante delle pitture sono state fatte «a secco») sono stati un’avventura: a ripercorrere gli ultimi due secoli, ci si trova al centro di un corso di storia dei restauri. La gloria di Giotto ebbe un appannamento nella prima metà del ’700: il disinteresse per questi capolavori fu tale che le pareti della cappella dei Bardi furono imbiancate a calce. La luminosità degli affreschi venne cancellata sotto un velo biancastro. Se ne perse la memoria. Ai primi dell’800 furono anche aggiunti e addossati alle pareti due cenotafi, due monumenti sepolcrali dedicati ad architetti granducali. A metà del secolo si decise una nuova decorazione della cappella e, tolta la scialbatura, frammenti della pittura trecentesca cominciarono a riapparire.
Il restauro fu affidato, allora, a Gaetano Bianchi, esperto restauratore fiorentino. I graffi, le abrasioni, le piccole ferite degli affreschi che si notano oggi sono dovuti all’infinito lavoro con il quale, nel 1852, si è rimossa l’imbiancatura. Sono i tempi nei quali si ricostruivano le opere danneggiate, si riempivano i vuoti e le parti perdute. Si immaginavano le pitture scomparse. Nell’800 i restauratori nascondevano le lacune e gli strappi. Oggi, vedremo, si ragiona all’opposto: gli interventi devono essere ben visibili, ma deve passare ancora un secolo dai tempi di Gaetano Bianchi. La filosofia del restauro, nel ’900, si ribalta: il lavoro contemporaneo deve essere evidenziato, non si inganna più il visitatore, non si nasconde più, bisogna che si sappia la verità.
Il nuovo intervento sugli affreschi della cappella Bardi, tra il 1957 e il 1958, è voluto dal soprintendente, il grande storico dell’arte Ugo Procacci, e affidato a Leonetto Tintori, straordinario restauratore pratese, che, in gioventù, era stato carbonaio e filatore per potersi pagare gli studi artistici. È a lui che si deve il recupero della «grande luce di autenticità» di Giotto. Tintori rimosse tutte le «ridipinture» ottocentesche, si scoprirono gli strappi degli affreschi, si resero evidenti le parti mancanti. «Si lasciò parlare soltanto ciò che rimaneva della pittura» originale. Oggi i restauratori a noi contemporanei seguono lo stesso cammino, ritrovano l’azzurro intenso dei cieli di Giotto, aiutano a risplendere la luce dei gialli, dei rossi, dei verdi. È la tavolozza dei colori dell’artista, derivati tutti da pigmenti naturali. I nostri occhi cercano i dettagli, sono attratti dagli sfondi, dai gesti degli uomini, dalle loro espressioni: questi affreschi erano capaci di parlare ai Bardi, banchieri super-ricchi, e ai contadini analfabeti delle campagne fiorentine. E, quasi otto secoli dopo, raccontano anche a noi della bellezza e della salvezza.
La possibilità di vedere
Fino a luglio del 2025 sarà possibile (prenotatevi, prenotate la visita, è un privilegio straordinario) osservare ad altezza degli occhi gli affreschi della cappella Bardi. Come ad Assisi, la fonte del racconto della vita di san Francesco sono le cronache di Bonaventura da Bagnoregio, francescano, cardinale, teologo, filosofo, biografo del Santo. Quando i restauri saranno terminati, il visitatore al centro della cappella potrà ammirare le sei scene della vita di Francesco: andranno lette da sinistra a destra e dall’alto verso il basso. Ecco allora la rinuncia ai beni paterni: il padre di Francesco non nasconde la sua rabbia di fronte alla scelta del figlio, i bambini che stanno per lanciagli contro delle pietre vengono afferrati per i capelli e gridano. A proposito, nella lunetta appare la sola donna raffigurata da Giotto in questi affreschi. Quasi sorrido se, guardandomi attorno, vedo solo donne, con grembiule bianco, al lavoro sulle pitture. Una ragazza non si è mossa per quasi due ore durante la nostra visita: era in una posizione che mi appariva scomodissima e, con un pennello minuscolo, sfiorava la parete per un tratteggio invisibile. Quello della restauratrice è un mestiere di paziente fatica.
Nella seconda scena, papa Innocenzo III, vestito come un sovrano, ascolta la preghiera di Francesco e dei suoi frati inginocchiati davanti a lui, con indosso un povero saio. È la Conferma della regola francescana. Più in alto, Francesco fa la sua Apparizione al capitolo di Arles e poi affronta la Prova del fuoco sotto gli occhi del sultano al-Malik al-Kamil. Più in basso, i frati, sgomenti, sono in ginocchio attorno al corpo di Francesco: gli angeli stanno già trasportando l’anima del santo verso il cielo. Il medico Girolamo tocca, ancora incredulo, le stimmate. L’ultima scena è la più «lacunosa»: al centro di un «vuoto quasi circolare appaiono, come circondati da un’aureola, alcuni frati che ascoltano il racconto di un loro confratello, frate Agostino, che ha appena visto l’anima di Francesco ascendere al cielo. Nella stessa scena, il santo appare in sogno al vescovo di Assisi: «Ecco, io lascio il mondo e vado in cielo».
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