Fratelli coltelli, parenti serpenti
Ho iniziato a leggere la Bibbia che ero molto giovane, quasi cinquant’anni fa. Preso dall’entusiasmo, ne regalai una copia anche a mio padre, grande lettore di libri storici. Nel mio giovanile e ingenuo entusiasmo non sapevo ancora che la Sacra Scrittura è un libro «sigillato», e che per entrarvi occorre la password, essere guidati, cioè, da persone esperte, autorevoli e dotate di discernimento. Mio padre iniziò a leggerla come si legge un romanzo, dall’inizio del libro della Genesi; dopo qualche decina di pagine si fermò perplesso e forse anche un po’ scandalizzato: pensava che fosse un libro «religioso», devozionale, e già dai primi capitoli si scontrò con l’omicidio di Abele: «Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello?”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen 4,8-9)».
Poche pagine dopo si imbatté nella storia di Esaù, che vende la primogenitura al fratello gemello Giacobbe per un piatto di lenticchie. L’astuto Giacobbe che inganna il fratello con la complicità della madre Rebecca. Roba da non credere e che lascia come minimo esterrefatti, se si leggono questi passi biblici senza le necessarie conoscenze. «Non credevo che nella Bibbia si potessero trovare storie così crudeli, tra fratelli! – mi disse mio padre–. È proprio vero, allora: fratelli coltelli!». Nella Scrittura c’è il cuore dell’uomo, con le sue altezze e le sue miserie, i sogni e i desideri; le paure più arcaiche e i gesti più sublimi. Il cuore dell’uomo è davvero un abisso: chi può conoscerlo? (Cfr. Ger 17,9).
Da più di trent’anni accompagno le persone, come psicologo, in percorsi di cambiamento in situazioni di crisi. Mai come in questi ultimi anni mi era capitato di vedere tante lotte tra fratelli per questioni ereditarie, per gelosie mai sopite né elaborate, soprattutto per problemi di soldi. Già, sempre i soldi, talvolta più forti degli affetti, come se il denaro potesse colmare i vuoti non colmati dall’amore, dalla tenerezza, dal riconoscimento dell’altro. Il legame di sangue non sempre rispecchia i legami del cuore.
Le cronache mondane, anche recenti, sono piene di storie familiari controverse e faticose, e più sono accese e conflittuali più sembrano conquistare un pubblico distratto e annoiato a caccia di nefandezze e pruriti. Anche i libri di storia ne sono intrisi: non ci interessano stemmi e dinastie, ma gesta e intrighi truculenti, le storie degli odi e degli amori e delle lotte dei «grandi». Da Caino e Abele, passando per Romolo e Remo, fino alle grandi tragedie di Shakespeare, finissimo esploratore dell’animo umano e delle sue ombre. Il principe Amleto che apprende che il padre è stato assassinato dal fratello Claudio; Riccardo III che trama perché suo fratello Edoardo IV mandi in prigione l’altro fratello Giorgio che fa poi uccidere dai sicari. Anche qui tutta una faccenda di fratelli maggiori e minori in cerca di potere ma anche di riconoscimento.
Ai tempi nostri è un po’ diverso: cambiano i modi ma le trame si assomigliano. I fratelli «non si uccidono più tra loro con le spade e i veleni, oggi. Ma via tabloid e interviste tv, libri e Netflix, le armi delle battaglie moderne, dove tutto deve necessariamente passare per i media, i nuovi menestrelli. E così alla fine sono i dettagli di queste storie che fanno la Storia. Sono gli odi e i rancori, le gelosie e le incomprensioni, i non detti e i troppo detti». (Cfr. C. Soffici, «La Stampa», 7 maggio 2023).
I conflitti tra fratelli sono sempre esistiti: sono battaglie durissime che di solito si affievoliscono quando, diventando autonomi, si esce dalla famiglia. Ma non succede sempre, anzi, talvolta qualcuno continua a portarsi dietro un fardello ricolmo di rabbia, risentimento e rimpianti, farcito di ferite ancora aperte e mai rimarginate. Dietro a liti futili o furiose, beghe familiari e rivendicazioni per motivi affettivi o economici si celano storie familiari dolorose e tormentate.
Ma c’è un altro aspetto da considerare ai giorni nostri: la denatalità crescente e inarrestabile nei Paesi occidentali, compreso il nostro, non permette più né il confronto né lo scontro con i fratelli; quei pochi bambini che nascono rimangono unici, crescono da soli, talvolta spaesati, tristi e senza riferimenti significativi. La presenza dei fratelli è un dono prezioso per il bambino: nel rapporto con i fratelli impara le prime strategie di negoziazione e di cooperazione, sperimenta un ampio ventaglio di interazioni interpersonali, si confronta per la prima volta con la competizione e il conflitto, acquisisce le principali competenze sociali. Certo nessuno di noi ha scelto i propri genitori e neanche eventuali fratelli o sorelle; i legami di sangue non si scelgono, ma nel corso della vita, se vogliamo che non si sparga sangue fratricida, i legami dobbiamo sceglierli.
Rivalità o solidarietà? Gelosia o condivisione? Conflitto o complicità? Talvolta sono proprio le persone a noi più prossime che diventano più distanti, a meno che il legame di sangue non diventi anche una scelta, un legame spirituale che sa accogliere la diversità dell’altro. L’amore non s’impone per natura; l’amore, comunque lo si voglia declinare, è sempre una scelta libera e responsabile.
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