Fratelli uniti nel servizio
«Ma perché alcuni frati vengono chiamati padri, mentre altri no? Che differenza c’è tra frate e padre? Come la devo chiamare?» Sono domande che spesso ci sentiamo rivolgere da chi viene presso la Basilica del Santo a Padova. All’interno del suo complesso è presente il convento dei frati minori conventuali; anche questo nome non è da tutti riconosciuto, perché spesso veniamo chiamati «frati di sant’Antonio». In realtà siamo frati francescani, come lo era Antonio di Padova, e come lui seguiamo il Signore sulle orme di san Francesco, fondatore dell’ordine dei frati minori. Proprio così li aveva chiamati all’inizio del Duecento, per ricordare l’impegno a vivere le relazioni senza imporsi sugli altri, ma piuttosto prendendo esempio da Gesù, che ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Chi diventa frate abbraccia la vita religiosa, promettendo di vivere il Vangelo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità; inoltre vive l’esperienza insieme ai suoi confratelli, che hanno fatto la stessa scelta: la fraternità è uno degli aspetti importanti di questa esperienza. Molti tra i frati diventano anche sacerdoti, ricevendo il sacramento dell’Ordine: da quel momento vengono chiamati «padri», celebrano la Messa, ascoltano le confessioni, amministrano i sacramenti.
Semplici frati
Se guardiamo la storia dei frati, spesso emergono soprattutto le figure di padri, frati sacerdoti, perché il loro ministero era maggiormente pubblico: predicazione, insegnamento della teologia, celebrazioni; gli stessi incarichi di governo all’interno dell’Ordine erano di norma affidati a chierici. E gli altri frati «semplici»? Non contavano niente? Tutt’altro, perché dietro a chi è più esposto per il suo ministero, c’è una storia di tanti frati che è portata avanti nel silenzio, nella semplicità e nel nascondimento. Ci sono frati che la storia ricorda, che sono famosi, ma ce ne sono tanti altri che con la loro fedeltà, il loro lavoro, la loro preghiera hanno contribuito silenziosamente alla vita della Basilica. Magari non eccezionali davanti agli uomini, ma certamente davanti a Dio, che è quel che più conta, come ricorda san Francesco: «Quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più» (FF 168).
Un esempio di fratello religioso (questo il nome utilizzato per dire che non è padre) è fra Valentino Schmidt, un omone con la barba lunga, di origine tedesca, al Santo come custode della Basilica dal 1853 al 1890. Già noto come falegname e intagliatore, si dedica a lavori di restauro e manutenzione della Basilica; la sua opera non passa inosservata, al punto che Camillo Boito (architetto tra il XIX e il XX secolo, famoso per la ricomposizione dell’altare del Donatello) così si esprime nei suoi riguardi: «È conosciuto in tutta Padova e amato da tutti; [...] quando si presenta il caso di costruzioni difficili e gli stessi ingegneri, architetti e scienziati si sentono nell’impaccio, il Comune chiama fra Valentino e gli chiede consiglio». E ancora Boito testimonia la sua dedizione per la Basilica: «Vive per la sua, proprio la sua, chiesa del Santo, amandola come un’unica figliola, circondandola di cure ruvidamente benefiche. La protegge, la risana, la abbellisce; poi la contempla con lo sguardo umido e sorridente di un padre burbero ma beato».
Un altro frate del silenzio è fra Francesco Fammilume, sacrestano della Basilica per quasi sessant’anni, fino alla sua morte, avvenuta nel 1951. Ricordato da tutti per la sua esemplarità e dolcezza, così ne parla il ministro provinciale del tempo, padre Eccher: «Abbiamo avuto occasione di ammirare in lui il religioso attivo che ha saputo disimpegnare così bene e per tanti anni il suo ufficio di sacrista nella Basilica del Santo, con grande edificazione dei sacerdoti, molti dei quali lo ricordano ancora. Abbiamo ammirato in lui il religioso umile e modesto, francescanamente semplice per cui fu caro a tutti».
Un servizio silenzioso
Questi sono solo alcuni frati ripescati dal passato, di cui abbiamo ricordato il nome, ma ce ne sono molti altri nascosti che con il loro umile servizio tengono in piedi la Basilica. Il custode dell’Arca, che ogni mattina si alza per sistemare l’olio alle lampade e accendere le candele che ardono attorno alla Tomba di sant’Antonio, sistema i fiori e con cortesia accoglie i fedeli che chiedono qualche informazione o vogliono lasciare un dono. Il frate del banco-messe, che riceve le richieste in suffragio dei defunti o per i vivi. Chi si occupa della Cappella delle reliquie, accogliendo i pellegrini e i turisti, e ascoltando, a volte, le loro storie. Il frate sacrestano, che ogni mattina prepara gli abiti e i libri liturgici per le celebrazioni, e tiene tutto in ordine nella Sacrestia. Non è mai mancato, poi, al Santo, il frate infermiere che assiste i confratelli malati: un compito da svolgere con pazienza e cura, come anche san Francesco ricorda nella Regola, «e se uno di essi cadrà malato, gli altri frati lo devono servire come vorrebbero essere serviti» (cfr. FF 92).
Un servizio prezioso, a cui spesso si subordinavano le altre attività, è quello delle Confessioni. Una volta, il luogo a esse deputato erano i confessionali del tornacoro (nella parte retrostante del presbiterio) e della sala del Capitolo; i frati più anziani ancora oggi ricordano le file infinite di penitenti, nonostante il numero elevato di confessori. Anche questo un ministero svolto nel nascondimento, ma davvero prezioso e che richiede soprattutto ascolto, delicatezza e discernimento. Ciascuno fa la sua parte, tutti accomunati dall’essere fratelli, frati appunto, che insieme cercano di annunciare il Vangelo con le opere. E dietro a chi appare di più ci sono tanti altri, padri o fratelli religiosi, che lo sostengono, che pregano e che lavorano.
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