Gli ebrei di Campagna

La vicenda del campo di internamento istituito a Campagna, nel salernitano, tra il 1940 e il 1943. Dove la solidarietà e l’accoglienza hanno saputo vincere l’odio e salvare decine di vite umane.
27 Gennaio 2024 | di

Doveva essere il luogo dove avrebbero trascorso i loro ultimi giorni, ma di ebrei, a Campagna, a 40 chilometri da Salerno, non ne morì neppure uno. La storia che ci apprestiamo a raccontare si svolse nel verde dei monti Picentini, in una cittadina di provincia i cui abitanti, durante la seconda guerra mondiale, diventarono protagonisti di una vicenda che parla di accoglienza in una cornice drammatica.

Il comune di Campagna, dove oggi vivono più di 16 mila persone, ha una grande storia: in questo luogo infatti, tra il XIV e il XV secolo, vi fu un grande fermento culturale, sia di matrice laica, grazie a una delle prime tipografie della provincia sorta nei vicoli del centro, che religiosa, con la presenza dei domenicani e dei francescani. Ma la grande tradizione culturale non impedì che nel 1938, a causa delle leggi razziali imposte dal governo, si decidesse che proprio qui sarebbero dovuti sorgere due centri di internamento per rinchiudere ebrei insieme con prigionieri politici. Gli edifici requisiti allo scopo furono i due ex conventi collocati alle estremità del paese: il convento domenicano di San Bartolomeo (luogo dove, secondo alcune fonti, Giordano Bruno, nel XVI secolo, completò il suo noviziato e celebrò la prima Messa) e, successivamente, visto che venne dismesso solo nel 1941, quello francescano di Concezione. Il borgo fu scelto dai fascisti perché isolato: aveva un’unica via d’accesso, facile quindi da controllare, una stradina che si snodava costeggiando il fiume Atri. 

Viaggio dopo viaggio, arrivarono così nel borgo campano uomini di origine ebraica da tutta Italia, molti dei quali originari dell’Istria e del Friuli. Il paesino, allora abitato da contadini, persone semplici e non abituate ai forestieri, cominciò a vedere uomini che parlavano con un accento «mai sentito», che qui avrebbero vissuto tra il giugno del 1940 e il settembre del 1943, trasformando queste contrade in uno dei principali luoghi di confino organizzato dal governo italiano per gli ebrei. Ma, a sorpresa, quello che sarebbe dovuto essere un esilio doloroso per uomini strappati alle loro case, divenne in realtà un’esperienza di pacifica convivenza, mentre la guerra mieteva vittime ovunque.

Restare umani

Era esattamente il 16 giugno 1940 quando i primi internati raggiunsero Campagna: 22 italiani e 8 stranieri, segnalati come «elementi pericolosi» anche se in realtà si trattava di intellettuali e artisti, poeti e medici. Vennero subito destinati all’ex convento domenicano, dal quale potevano però spostarsi, visto che il luogo non garantiva lo spazio per muoversi come invece era stabilito dalla Convenzione di Ginevra in merito al trattamento dei prigionieri di guerra. «Agli internati era consentito passeggiare per i vicoli del paese, purché rispettassero le zone autorizzate, delimitate da strisce sul manto stradale e da tabelle in più lingue», racconta Marcello Naimoli, giovane e motivato direttore del Museo della Memoria e della Pace che ha sede nell’ex convento di San Bartolomeo. I controlli affatto severi, inoltre, garantivano agli internati una qualità di vita nemmeno paragonabile con quella degli ebrei rinchiusi nei campi sparsi in Europa.

Ma ciò che contribuì a unire prigionieri, guardie e cittadini, furono soprattutto le attività svolte assieme spontaneamente: un coro e una piccola orchestra, rappresentazioni teatrali, mostre di pittura, la redazione di un giornale. E così non era raro che le note del violino riecheggianti melodie klezmer, la musica tipica ebraica, si accompagnassero al ritmo allegro della tarantella dei campagnesi. Gli internati potevano pregare liberamente in uno spazio apposito trasformato in sinagoga, potevano leggere i libri della biblioteca del seminario e dare lezione di lingue straniere ai campagnesi. «Non esistevano uniformi a strisce, nelle foto si vedono i reclusi eleganti, in giacca e cravatta», sottolinea Namoli. L’appassionante match di calcio tra guardie e prigionieri raccontato nel film Fuga per la vittoria ebbe luogo anche a Campagna, con la differenza che qui la fuga non ci fu, e l’unico ebreo che chiese e ottenne di rientrare al Nord fu in realtà il solo a morire, ma in un altro campo di internamento. 

Quando, nel 1943, dopo l’annuncio dell’armistizio, i prigionieri furono liberati, essi scap­parono assieme ai campagnesi sulle montagne per salvarsi. Ma in quei giorni, Campagna subì due bombardamenti, in uno dei quali, il 17 settembre 1943, si contarono 200 morti e innumerevoli feriti. E così, quando all’ex convento di San Bartolomeo venne allestito un campo-profughi, due medici ebrei tornarono per operare i feriti. Molto fece per gli internati ebrei anche il vescovo di Campagna, monsignor Giuseppe Maria Palatucci, frate minore conventuale. Lo comprova il carteggio tra il vescovo, i prigionieri ebrei, i ministri, la Segreteria di Stato vaticana, le Nunziature e i cittadini, conservato nell’archivio dei frati del convento di San Lorenzo Maggiore a Napoli.

Da queste pagine si evince che, nella piccola sinagoga di Campagna, il vescovo pregava con i rabbini e ci sono lettere, come quella dell’ex internato Gustav Kluger, che testimoniano la disponibilità e la generosità che Palatucci riservò ai prigionieri. Anche il nipote del vescovo, Giovanni, salvò molti ebrei. Giovanni Palatucci, funzionario dell’ufficio stranieri e poi questore reggente a Fiume, allora città italiana, cercò infatti di aiutare gli ebrei istriani destinati ai campi di internamento e lo fece spesso consigliandosi con lo zio e, quando possibile, facendo internare gli ebrei proprio a Campagna. Alla fine, però, Giovanni fu scoperto e spedito a Dachau, dove morì 78 giorni prima della liberazione del campo di concentramento, il 10 febbraio 1945. Anche per questa sua opera, Giovanni Palatucci è stato dichiarato nel 2004 Servo di Dio e gli è stata attribuita dallo Stato italiano, nel 1995, la Medaglia d’oro al merito civile.

Il percorso museale

Oggi, l’itinerario della Memoria e della Pace, nel Complesso monumentale di San Bartolomeo (museomemoriapalatucci.it), racconta con una mostra permanente di pannelli fotografici questa storia, accostandola a documenti e immagini della Shoah. «Abbiamo voluto realizzare questo itinerario della Pace, proprio per fare memoria dell’umanità con la quale la comunità di Campagna volle alleviare le sofferenze di tanti esseri umani strappati alle loro famiglie», spiega il direttore mostrando le immagini. Gli spazi della sinagoga e la camerata con i letti, le scarpe e i vestiti oggi in mostra, sono stati visitati dalle comunità ebraiche italiane e da centinaia di studenti che giungono ogni anno per scoprire una pagina ancora ignota della storia italiana. Le sale emozionali raccontano con video immersivi l’arrivo degli ebrei a Campagna e le loro storie drammatiche, indimenticabili. Immagini, volti, luoghi e lettere trasmettono sensazioni intense.

Il 27 gennaio di ogni anno, Giorno della Memoria, il museo è punto di riferimento in Campania di numerosi appuntamenti per commemorare le vittime dell’olocausto. Da gennaio a marzo, poi, si programmano incontri con le scuole, invi­tando gli ultimi testimoni per ascoltare e condividere le esperienze di solidarietà che qui essi hanno vissuto. Perché la tutela della dignità della persona e il rispetto per le differenze di provenienza e di fede, sono lezioni che questa terra periferica del Mezzogiorno, esempio di convivenza in un periodo oscuro, continua a offrire anche oggi.

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Data di aggiornamento: 31 Gennaio 2024
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