Il cammino di Agata
Un’isola nella laguna tra Caorle e Bibione. Inizi del ’900. Antichi riti di passaggio demarcano le fasi della procreazione. Una donna gravida è consacrata alla Madonna sul litorale. Ella solleva i suoi candidi veli e, mentre il gruppo femminile prega, entra in mare e lava via il sangue dalla mano su cui un’anziana ha inciso un segno col coltello. Purtroppo Agata (Celeste Cescutti) partorisce una bambina già morta. Il prete (Luca Sera) è categorico: non avendo mai respirato, la neonata non può avere nome, né battesimo, né tomba; la sua anima vivrà nel Limbo e la mamma la rivedrà solo nei sogni. Ma Ignac (Marco Geromin), il bizzarro saggio del paese, conosce un’alternativa segreta: portare il «piccolo corpo» in un lontano santuario, dove – si racconta – può avvenire un risveglio. Basta l’attimo di un respiro per ricevere il sacramento. Così nell’aldilà mamma e figlia potranno di nuovo incontrarsi.
Il film Piccolo corpo (Italia/Francia/Slovenia 2021) di Laura Samani (32enne al suo primo lungometraggio) porta sugli schermi una pratica che continuò fino al XIX secolo lungo tutto l’arco alpino. Santuari come quello di Trava, in Friuli, si chiamavano à répit, luoghi del respiro e della tregua, pausa, pace. Il viaggio di Agata è un itinerario di conversione. Da là non si torna, dice la gente. Agata parte di nascosto, da sola, con rabbia e sete di giustizia. Affronta prove dolorose: il distacco dalle abitudini del villaggio e dall’incredulo marito, il tuffo rischioso nel gelido lago alpino, la scommessa su una grazia divina. Agata accetta come guida lo sconosciuto Lince (Ondina Quadri), giovane androgino, un angelo furbo e scostante dai grandi occhi azzurri. L’aiuto è reciproco. Lince, ignaro, si mette sulla schiena la cassetta di legno con le spoglie funerarie. Agata gli insegna che il mare è infinito, libero e profumato.
Elaborare il lutto
La regista non attenua i contrasti naturali. Vediamo lampi solari frangersi sulle onde, come una rottura delle acque. Poi c’è la terra e la mucosa del bosco, che offre semi di vita ai fuggiaschi: nocciole, funghi, erbe. Scende una corrente aerea dalle cime nevose, un freddo da cui nessun vestito ripara. Accendere un fuoco per la notte è già un portento, come scaldarsi in due senza toccarsi, in una castità totale. Le regole sociali sono ruvide e scabre come il ritmo selvaggio del dialetto di frontiera e dei canti rituali. Il perdono non è garantito, non si fa nulla senza un guadagno, le donne vendono capelli e latte. I briganti spolpano carovane troppo misere. La solidarietà è un lusso raro.
Il film Piccolo corpo partorisce le immagini di un’evoluzione affettiva. Agata si sentiva già madre nei sogni di gravidanza. Il suo ventre si è gonfiato delle parole rituali con cui il gruppo l’ha protetta. Ora percepisce la bambina mancata nei suoi seni inutilmente gonfi di latte, nell’utero ancora aperto e sanguinante. Agata resta madre. La figlia tornerà e lei la vedrà. Dio non può tradire una seconda volta. E intanto la puerpera elabora il lutto nel duro viaggio su campi scoscesi e silenziosi. Una liberazione l’attende. Là dove la brina ghiaccia la chiesina colma di ceri, sta l’affresco della Madonna del latte, la Madre santa che attende le sue figlie meno fortunate.
Il cammino di Agata è una seconda nascita per sé, per la concepita, per i nascituri, per chi è orfano (dal greco orphanòs: privo, mancante) dei legami primari. Anche Agata, nella sua religiosità sacrificale ed eretica, ha bisogno di un battesimo d’acqua spirituale. Anche Lince ha bisogno di un proprio nome, di una nuova patria, di un’amicizia, di una figlia da tenere in braccio. La bioetica della generazione (con i suoi concetti, principi, veti) è in debito verso i racconti che incarnano il desiderio degli amanti, la passione delle donne, la tragedia della morte precoce, la ribellione al destino funesto, la tenerezza dell’ultimo abbraccio.
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