Quando l’arte salva la vita

Fuggito dalle persecuzioni in atto nel suo Paese, il giovane curdo Moz Azimi si è ritrovato catapultato in un incubo: otto anni di detenzione in un centro per immigrati in Australia, dove solo l’arte l’ha tenuto in vita.
18 Ottobre 2022 | di

Mostafa Azimitabar, conosciuto artisticamente come Moz Azimi, è membro della minoranza curda iraniana. Una decina d’anni fa, dopo una lunga persecuzione, ha abbandonato la sua famiglia, imbarcandosi in direzione Australia dove sperava di trovare pace e libertà. E invece, al contrario, proprio in una terra dove forti sono le speranze di far avverare i propri sogni, è iniziato per lui un lungo calvario: 2.737 giorni di detenzione.

Dopo il naufragio del suo barcone, Moz è stato, infatti, deportato sull’isola di Manus, in Nuova Guinea, nella quale il governo australiano mantiene da sempre aperti alcuni campi di prigionia per far passare forte e chiaro il messaggio che i migranti nel Paese non sono i benvenuti. «Nel cuore della notte, siamo stati portati in un centro dove le scorte di cibo e le medicine scarseggiavano, l’elettricità era stata interrotta, i tubi tagliati e i serbatoi dell’acqua deliberatamente rovinati. Solo privazioni, svilimento sistemico, grande e terrificante violenza» racconta oggi Moz.

L’isola era in mezzo al nulla, proprio come da lì a poco sarebbe accaduto alla sua vita, sospesa nel vuoto più assoluto. Moz viene sballottato tra i centri di Christmas e Manus Island, subito dopo nuovamente spostato nel limbo di Port Moresby, la capitale dello Stato di Papua Nuova Guinea. «Lì ho visto morire il mio amico Reza Barati, assassinato dalle guardie. Lo hanno aggredito in quindici, battendogli la testa contro un palo di legno chiodato: due sono stati condannati per il suo omicidio. Ho capito allora che la situazione sarebbe peggiorata, ma non avrei mai pensato che ci sarebbero voluti tutti questi anni per uscirne». Picchiato più volte con un tubo di metallo, il trauma psicologico è rimasto impresso anche in Moz, nonostante la guarigione di quelle profonde ferite fisiche.

Poi, nel 2019, le sue condizioni di salute hanno imposto un trasferimento a Melbourne, dove la reclusione è proseguita in uno di quegli hotel-prigione riservati soltanto ai migranti. Si trattava di una detenzione più subdola: tredici mesi imprigionato in una sterile stanza, «la mia camera-bara», come Moz Aziz stesso l’ha definita. Da una finestrella di pochi centimetri poteva vedere soltanto una minuscola porzione di mondo, sentire i suoni della vita che passava inesorabilmente e ascoltare alla cieca le voci dei manifestanti che sfilavano sotto l’hotel per la sua libertà, mentre altri, più ignari o indifferenti, «gattonavano» lentamente con le proprie auto.

La salvezza nelle piccole cose

Durante gli otto anni di brutale detenzione, Moz ha cercato di ricordare sempre di non essere solo il codice KNS088, il numero identificativo che il sistema detentivo gli aveva attribuito. Avrebbe potuto scegliere il suicidio come liberazione, invece ha trovato un modo per sopravvivere: uno spazzolino da denti e del caffè gli hanno salvato la vita, divenendo simboli di riscatto e voglia di vivere. «L’ho fatto per non impazzire. Un giorno ho chiesto pennelli e pittura, un modo per resistere al nulla, ma mi sono stati negati. Poi ho afferrato lo spazzolino da denti e l’ho immerso nel caffè trascinandolo su un foglio», racconta. La sua disperazione è diventata così creatività: ha dipinto e cercato di colorare il mondo grigio di tutti i prigionieri, dedicandosi inoltre alla poesia e alla sua prima passione, la composizione musicale. Seduto accanto a quella finestrella, Moz ha scritto la sua Love, un brano suonato su una chitarra regalatagli da Jimmy Barnes, un chitarrista scozzese naturalizzato australiano, conosciuto in un concerto durante l’Australia day, «l’esperienza più stranamente australiana che abbia mai avuto» confida. «Il pezzo è stato scritto per ringraziare tutti coloro che mi hanno sostenuto, per chi è rimasto in strada a protestare», afferma.

Il processo per arrivare alla scarcerazione è stato tortuoso, ma in Iran c’era un fondato timore di persecuzione, e dunque l’Australia era legalmente obbligata a proteggerlo. Non poteva essere rimpatriato, ma doveva rimanere in coda per il «reinsediamento» negli Stati Uniti, un iter che si è bloccato con lo scoppio della pandemia. Moz si è così ritrovato rinchiuso in cella soltanto per un’intransigenza burocratica. Liberato il 21 gennaio 2021, con il riconoscimento di non aver commesso alcun crimine, adesso il giovane curdo è in causa contro il governo australiano per detenzione illegale in quegli hotel disumani, «mistero delle carceri per immigrati». Ma ci sono tanti altri prigionieri che rischiano la carcerazione a tempo indeterminato, nonostante non piova sulle loro teste alcun tipo di accusa. «Possono picchiarmi, ferirmi, ma io sono forte e con il mio sorriso lotto per i miei diritti e per quelli degli altri rifugiati innocenti. Credo che il potere del popolo possa sgretolare i muri dell’oppressione» dice Moz.

Il giovane artista non ha mai smesso di intingere il suo spazzolino da denti nel caffè, diventando così incredibilmente bravo da essere entrato come finalista all’Archibald Prize 2022, un famoso concorso australiano di pittura per ritratti. Inoltre, ha potuto esporre le sue opere presso la Galleria d’arte del New South Wales, sempre in Australia. «All’inizio il mio era un semplice esercizio di sopravvivenza psicologica durante la detenzione. In Iran non avevo avuto nessuna formazione specifica in campo artistico. Quando sono arrivato a Manus volevo solo allontanarmi dal rumore e dalle guardie, e ho trovato tranquillità in carta, caffè e spazzolini da denti», racconta il giovane. Anche quel codice incancellabile, KNS088, è diventato arte: è infatti il titolo di un suo autoritratto, un quadro che esprime al tempo stesso sofferenza e forza.

«L’arte mi ha aiutato a essere forte. Il rosso, il giallo e il verde sulla mia faccia sono i colori della mia terra – spiega l’artista –. Il blu rappresenta l’oceano che ho attraversato ed esprime, al contempo, sicurezza e libertà». Dopo la scarcerazione gli sono stati offerti appena 150 dollari australiani come risarcimento per quanto aveva subito e da solo è riuscito a trovare un lavoro per The Run for Good Project, un progetto solidale che fornisce mobili alle persone bisognose. Adesso Moz si gode meritatamente una lunga tournée con il suo idolo, Jimmy Barnes, per far ascoltare la sua musica. E paradossalmente, mentre viaggerà lontano verso un futuro migliore sulle note della sua chitarra, i ritratti di una vita sospesa saranno esposti in una mostra permanente nel Paese del suo martirio.

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Data di aggiornamento: 18 Ottobre 2022
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