L’indifferenza del bene
Siamo nella Germania nazista. Un docente di letteratura, John Halder, viene contattato nel 1937 dalla Cancelleria del Führer per aver pubblicato, nel 1933, un racconto sull’uccisione «pietosa»: un uomo avvelena la moglie, affetta da una patologia inguaribile, perché la ama troppo. «Le conclusioni del racconto – commenta estasiato il funzionario del III Reich – sono rivoluzionarie! Sono le sue idee, vero? Il libro è stato scritto col cuore ed è stato apprezzato dal nostro Führer e da Goebbels, il Ministro per la propaganda!».
La Cancelleria gli chiede, dunque, di iscriversi al partito (sia pure soltanto come membro onorario) e di redigere un trattato scientifico sull’argomento. Halder purtroppo obbedisce. Il protagonista, che tutto sommato è un «buon» cittadino tedesco, ha seri problemi personali (allucinazioni uditive) e familiari. Cede così alle lusinghe dei burocrati, divorzia e fa carriera politica e didattica. Mentre nelle piazze vengono bruciati i libri di autori «pericolosi» in nome dell’«allineamento della cultura» progettato da un apposito Ufficio del Reich, il docente allenta la sua amicizia con lo psicoanalista ebreo, Maurice.
Questione di etica
Il film Good – L’indifferenza del bene (Gran Bretagna / Germania 2008), di genere drammatico, basato sulla pièce teatrale di Cecil Philip Taylor (drammaturgo scozzese vissuto dal 1929 al 1981), dura 96 minuti e, pur non avendo alte qualità artistiche, sollecita un dibattito sulla storia dell’etica. Il regime totalitario tedesco, infatti, non organizzò soltanto la brutale eliminazione di cittadini disabili e improduttivi (ancora capaci di esprimere proprie volontà) e la soppressione di chi apparteneva a minoranze discriminate, tra cui gli ebrei (questa eutanasia è definita involontaria).
Nella pellicola si dà invece rappresentazione a un programma politico più sottile, quello di appoggiare e diffondere (con argomentazioni semplicistiche) l’uccisione per pietà di soggetti che avessero espresso più o meno chiaramente la volontà di farla finita con le loro sofferenze (l’eutanasia volontaria). Questa richiesta è messa in bocca nel film Good – L’indifferenza del bene proprio alla mamma del professore: «Dammi tutto il tubetto di pastiglie, questa vita è miseria, pura sofferenza». Tuttavia nella conversazione si capisce che l’anziana donna non vuole morire, ma desidera affetto, poiché si sente abbandonata e dimenticata.
Il mito dell’efficienza ariana, nel cui nome incrementare la natalità e sacrificare i più fragili, per lasciare il posto a nuove generazioni di lavoratori e combattenti (l’Eugenetik in senso nazista), s’insinua furtivamente dietro la propaganda di un apparente progresso giuridico: il riconoscimento del diritto individuale alla morte. Date le intenzioni latenti, si trattava di un passo ambiguo, destinato a giustificare poco alla volta l’interruzione della vita di soggetti incapaci di intendere e volere (eutanasia non volontaria). Il ragionamento era il seguente: perché lasciar patire strazi infernali a chi (neonati patologici, malati psichiatrici, soggetti con demenza, malati in coma) chiederebbe un’abbreviazione dell’esistenza, se avesse le facoltà di esprimersi? E poi perché informare un paziente grave (anche se ancora cosciente) e stressarlo inutilmente, prima di attuare un’eutanasia, che probabilmente egli stesso avrebbe prima o poi domandato?
Questo piano folle e criminale non va confuso col dibattito contemporaneo sul suicidio assistito, una pratica che è stata democraticamente legalizzata da diversi Paesi civili. Resta il fatto che, prima di introdurre eventuali eccezioni giuridiche al divieto di interrompere la vita, occorre essere almeno certi di aver garantito alcune condizioni socio-economiche elementari: una solida ed efficiente rete di cure palliative, una supervisione etica rigorosa, un aiuto concreto alle famiglie in difficoltà e ai soggetti non autosufficienti, l’evitamento dell’accanimento terapeutico, la revisione del concetto penale di «assistenza/agevolazione» al suicidio, la diffusione delle dichiarazioni/disposizioni anticipate di trattamento.
Queste ultime sono indicazioni informate redatte dal singolo soggetto in merito alla sospensione delle cure e alla scelta di un rappresentante, prima che si offuschi la propria lucidità nelle scelte di fine vita. John Halder (alias l’attore Viggo Mortensen) incarna l’immagine di brava persona (good) che, sperando ingenuamente di cambiare dall’interno un regime razzista, perde integrità morale. Aprirà gli occhi troppo tardi… Diretto da Vicente Amorim, Good – L’indifferenza del bene è un film di denuncia verso il perbenismo pigro e indifferente. Un film di finzione costruito assemblando materiali storici.
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