Il desiderio della Ruta 40
Le grandi strade sono un immaginario. La raffigurazione reale (asfalto, parapetti, ponti, gallerie, modificazioni del paesaggio, intromissioni, cartelli indicatori) di un desiderio, un unico irresistibile desiderio: andare. I chilometri diventano i passi infiniti di un sogno, di un orizzonte che si muove di continuo. Non ha senso che io voglia andare da la Quiaca, al confine con la Bolivia, a Rio Gallegos, frontiera continentale dell’Argentina, prima del balzo verso la Fine del Mondo: eppure vorrei percorrere tutta la Ruta Nacional 40. Senza una vera ragione, un cammino irrazionale. Non ho una meta, vorrei solo sentire la sua lunghezza sotto le ruote della mia macchina. Non è un andare a piedi, non vi è una filosofia della lentezza, il mio desiderio poggia su una nuvola priva di consistenza: vi è solo la distanza, il mito creato da chi ha costruito questo on the road latinoamericano. Che non ha avuto la sua beat generation, ma è ugualmente diventata leggenda.
Penso, con meraviglia, alle duecento città che questa strada attraversa. Ai ventisette passi andini che scavalca e ai tredici deserti nei quali cerca di smarrirsi. Quattromilaseicentosettantasette chilometri (ma la sua lunghezza è oggetto di discussioni e baruffe inconciliabili). La Ruta 40 corre parallela alle Ande, non le abbandona mai, percorrono assieme migliaia di chilometri. Il più delle volte questa strada senza fine ha un fondo di ripio o serrucho, un ghiaino instabile, insidioso come una pista di ghiaccio.
Due volte ho percorsi lunghi tratti della Ruta 40 (mai sono stato così determinato andare avanti fino alla fine): mai ne sono uscito con il parabrezza sano. I sassi sembrano volare come proiettili. Non sai da dove arrivano. Schizzano da ogni lato. Fanno il tirassegno con la carrozzeria della tua automobile. Le ruote sdrucciolano, non bisogna mai toccare i freni, mai fare sterzate brusche. Una volta ci siamo ribaltati con una manovra da saltimbanchi nelle solitudini di Rio Mayo. Una carambola spettacolare. Siamo usciti indenni (o quasi) da finestrini in frantumi: la nostra auto si era dimezzata. Non dimentico questa strada. Mi ostino a volerci tornare. Come vorrei tornarci. È magnifica. Imprevedibile. È il viaggio, la ruta 40. Grazie a lei mi sono ritrovato a oltre cinquemila metri di quota a parlare con un contadino che vi era arrivato con una mobylette. Ho incontrato minatori e preti viandanti, pastori di altissima quota e toreri in attesa di un ingaggio. Ho conosciuto un tedesco che si era arenato in un villaggio polveroso e si era stabilito lì e faceva una birra che aveva chiamato, ovviamente, Ruta 40. Questa strada mi ha reso felice, il suo sogno mi ha reso felice. Mi ha condotto in capo al mondo. Mi ha fatto sfiorare il cielo. È una strada per gente solitaria che sa che ogni incontro è una festa, un’amicizia effimera e profonda, una complicità.