Il dilemma del voto
Il 4 marzo gli italiani andranno a votare. Non saranno gli scontri tra i partiti, i contrasti tra i leader, tanto meno le battute nei talk show a determinare i risultati del voto. Questi dipenderanno da «la prima e la più grave questione sociale», come l’ha chiamata il presidente della Repubblica: la «questione lavoro». Peserà sul voto la precarizzazione che, negli ultimi anni, in Italia non solo non si è ridotta, ma è diventata la tendenza principale. I numeri ci dicono che, se dal 2014 a oggi sono stati recuperati un milione di posti di lavoro, è altrettanto vero che il monte ore lavorato è lontano dai livelli registrati prima della crisi del 2008. In realtà, sono aumentati i lavoratori a tempo parziale, che presumibilmente lavorano meno, a volte solo qualche ora a settimana, e ovviamente guadagnano meno di chi può ancora contare sul posto fisso.
Peserà sul voto il fatto che sono occupati solo sei giovani su dieci, che nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni, l’età in cui la vita dovrebbe trovare un assetto stabile e in cui si aspira a una casa, a un matrimonio, a dei figli, siano dominanti l’incertezza del futuro, l’insicurezza economica e affettiva. Peserà la condizione dell’occupazione nel Sud Italia, dove lo scarto ha davvero dell’incredibile. Mentre le città del Nord possono vantare percentuali di occupati che competono con le zone più sviluppate d’Europa, nel Mezzogiorno queste crollano a livelli che mettono in forse la stessa sussistenza delle famiglie. In Calabria, Sicilia, Campania e Puglia lavora meno di una persona su due. Nel resto d’Europa un record così negativo riguarda solo due regioni.
Peserà sul voto anche la fine degli incentivi elargiti dal governo alle aziende, con l’intento di agevolare le assunzioni. Per migliaia di persone nel 2018 c’è il rischio del licenziamento o di una nuova precarietà. Peserà, infine, il divario tra le promesse, i messaggi ottimistici, gli impegni esagerati e ridondanti dei partiti e dei loro leader e la realtà del lavoro che, anche quando può contare sulla sicurezza della retribuzione, anche quando è «posto fisso», subisce i ricatti, la riduzione dei diritti e l’incertezza del domani.
In chi va alle urne i dati, i numeri e le statistiche esposti finora non sono un’astrazione. Rappresentano situazioni personali e familiari concrete, riflettono preoccupazioni quotidiane, spesso sono diventati veri e propri drammi dell’esistenza. Sicuramente il lavoro – ha ragione il presidente Mattarella – è la prima e la più grave delle preoccupazioni dei singoli e delle famiglie. È ovvio, quindi, che chi andrà alle urne penserà innanzitutto di dare il suo voto alla forza politica che ritiene in grado di proporre una soluzione concreta e tangibile. Sarà questa la principale motivazione. Anche chi non andrà a votare esprimerà un giudizio. Il «non voto» racconterà di chi non crede che oggi i partiti siano in grado di dare alcuna soluzione. I sondaggi dicono che i non votanti saranno molti. E questa non è certo una buona notizia.