Il futuro in un caffè
Aroma intenso e inebriante, una vera e propria bevanda cult da sorseggiare in compagnia. Per il popolo partenopeo il caffè è l’oro nero per eccellenza, un rito, una bevanda da condividere e che da qualche tempo dona anche un senso di libertà. Ad aver conferito al simbolo di Napoli un ruolo sociale è la cooperativa Lazzarelle, una speciale impresa di torrefazione nata nel carcere femminile di Pozzuoli ed erede della tradizione del chicco d’arabica napoletano. Un progetto tutto al femminile, nato da donne a sostegno di altre donne, utile a rafforzare piccole e grandi fragilità, coinvolgendo le detenute in un percorso di formazione e affermazione della propria identità.
A guidare l’impresa è la 49enne Imma Carpiniello, entrata in contatto con la vita negli istituti penitenziari nell’ambito del suo impegno nel Terzo settore. Laureata in Scienze politiche e con un master in Politiche di genere e diritti umani, Carpiniello ha sempre desiderato occuparsi di realtà carcerarie, anche aiutando le donne recluse a rientrare nel circuito della legalità. Ed è riuscita a coronare questo suo desiderio grazie a un’impresa capace di immettere sul mercato un prodotto artigianale ed etico, con un tocco di femminilità.
È stato grazie a un finanziamento della Regione Campania che la fondatrice di Lazzarelle è riuscita a mettere in piedi la sua piccola azienda: «La nostra è una cooperativa sociale, avviata grazie a un fondo per start-up, ma che lavora all’interno del carcere in maniera un po’ particolare, ovvero seguendo l’intero ciclo produttivo del caffè», spiega.
L’idea si sviluppò inizialmente dalla collaborazione tra le operatrici volontarie e quindici donne detenute che, fino a quel momento, erano state inserite sempre e solo in progetti a scadenza. «Non è stato facile convincere le ragazze dell’importanza di fare impresa, investendo prima di tutto su se stesse e soltanto in seguito sul guadagno», continua Imma. Lazzarelle, però, ha pensato proprio a tutto, acquistando dapprima i chicchi di caffè ancora verdi e mettendo immediatamente al lavoro le donne desiderose di un vero cambiamento interiore e di riscatto sociale. E pronte a ricominciare da zero.
Il piacere di collaborare
A Lazzarelle le detenute vengono regolarmente assunte, così da combattere repentinamente la mancanza di opportunità lavorative a cui sono soggetti uomini e donne a fine pena. «Il carcere è un’istituzione totalizzante e infantilizzante. Totalizzante da un punto di vista fisico, sensoriale e psichico. Infantilizzante perché porta a trascurare tutte le capacità decisionali, poiché è l’istituzione che decide per il singolo. Ciò incide sulla perdita di alcune attitudini necessarie al momento del ritorno alla vita reale. Anche solo il chiudere la porta, ovvero un gesto banale, può diventare un problema all’uscita dal carcere, perché in cella c’è un agente che lo fa per te».
La vita dietro le sbarre diventa quindi una condizione di lunga passività, che si trasforma in uno stato di paradossale sicurezza. Alla fine del percorso detentivo, è sempre molto difficile ritornare alle normali abitudini quotidiane; al contrario, una sana attività lavorativa svolta in carcere può aiutare nell’acquisizione di un’autonomia futura. Il lavoro diventa allora uno strumento di formazione non solo professionale, ma soprattutto personale. «Lavoriamo sull’empowerment femminile: le donne coinvolte vengono da contesti periferici, a bassa scolarità, e sono molto spesso vittime di violenza fisica, psichica ed economica. È molto bello osservare la loro espressione quando chiudono il primo pacchetto di caffè; sembrano domandarti: “Ma davvero l’ho fatto io? Non pensavo di esserne capace”», sottolinea ancora Imma.
Per non rimanere inevitabilmente ingabbiate dentro determinati stereotipi, è fondamentale però imparare a mettersi in discussione, demolendo tanti pregiudizi di fondo. Molte ex detenute che hanno terminato il percorso a Lazzarelle sono già state reimpiegate anche grazie al fatto non aver avuto alle spalle un lungo periodo di inattività. «Oltre alla torrefazione – avverte la fondatrice – abbiamo aperto anche un bistrot nella Galleria Principe di Napoli, all’interno del quale sono impiegate altre donne detenute che possono accedere ai benefici di legge per lavorare all’esterno. Seguiamo il reinserimento sociale delle donne fino al termine della pena e molto spesso restiamo in contatto con loro anche dopo, fornendo referenze per un nuovo impiego».
Onore al Merito
Agli inizi le donne occupate a Lazzarelle erano una quindicina, ora sono 84 e la stragrande maggioranza di loro, una volta fuori dal penitenziario, è uscita definitivamente dai circuiti criminali. Tutto merito di un caffè che sa di libertà ed è anche di ottimo livello: «Tostiamo il caffè alla vecchia maniera, in modo lento e con un raffreddamento ad aria, rispettando la più antica tradizione napoletana – racconta Carpiniello –. Dopo dieci giorni di maturazione, il caffè sprigiona tutti i suoi aromi e si trasforma in un prodotto di alta qualità». Inoltre, «nella nostra realtà tutto è fatto in trasparenza, dalla coltivazione del caffè al suo confezionamento. Una scelta etica ben precisa che garantisce anche le lavoratrici oltre che i consumatori».
Lazzarelle ha scardinato non pochi stereotipi: «Il settore del caffè – sottolinea Carpiniello – è da sempre una realtà maschile, in cui vige una forma di patriarcato molto forte. Basti pensare al linguaggio utilizzato: esiste, per esempio, la figura del torrefattore ma non quella della torrefattrice, termine che sta a indicare una macchina. Anche questo ci ha interrogate e portate a riflettere sul fatto che anche nei penitenziari femminili si tende a procedere per stereotipi, relegando la donna a soli compiti di pulizia o cucina. Alle nostre ragazze, invece, si deve tutta la dignità di un mestiere e non di uno stereotipo».
Imma Carpiniello di recente ha ricevuto, dal presidente della Repubblica Mattarella, un riconoscimento per il suo impegno civile, la dedizione al bene comune e la testimonianza dei valori cari alla Repubblica. Dodici anni fa c’era chi la additava come una visionaria, per quanto era impensabile l’idea di produrre in carcere un caffè di qualità. Adesso invece la sua Lazzarelle realizza dieci quintali di prodotto in un anno, venduto per lo più sul web. Le donne di Pozzuoli sono diventate le protagoniste del proprio cambiamento, entusiaste di collaborare ogni giorno alla crescita di un’impresa tutta femminile e, a fine giornata, anche di poter gustare il frutto del proprio lavoro, sorseggiando tra loro una fumante tazzulella ’e café che profuma di dignità.
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