Il miracolo del Campo 60
Un legame indissolubile lega l’Italia alle Orcadi, selvagge isole nell’estremo Nord della Scozia. Proprio qui, precisamente a Lamb Holm, una delle remote isolette dell’arcipelago, avvenne quello che ancora oggi, da molti, è conosciuto come il «miracolo del Campo 60». Una storia tutta italiana che parla di speranza e creatività e che ha colorato di un’inaspettata umanità le drammatiche pagine della Seconda guerra mondiale.
Questo avamposto disabitato e spoglio, senza acqua potabile e con un clima gelido, era stato scelto dagli inglesi come uno dei luoghi di deportazione e raccolta delle migliaia di soldati italiani catturati sul fronte nordafricano tra il 1940 e il 1941.
Proprio al gruppo di prigionieri del Campo 60 si deve la costruzione della piccola chiesetta, poi conosciuta come Cappella italiana, un luogo dove riunirsi per affrontare insieme fatica e solitudine trovando conforto nella preghiera e che col tempo è diventato simbolo di pace e fratellanza.
Sono 100 mila le persone che ogni anno raggiungono le Orcadi per visitare la chiesetta degli italiani che, a 80 anni dalla sua costruzione, ha resistito alle intemperie e che, anche grazie ai diversi lavori di restauro, rimane testimonianza di una storia che ci riguarda e ci coinvolge.
Genialità italiana
Per capire a fondo il significato di quest’opera italiana in terra allora nemica, è necessario andare indietro nel tempo. Dal 1940 iniziarono le deportazioni dei prigionieri di guerra italiani alle Orcadi, lì destinati per lavorare alla costruzione delle Churchill barriers, le colossali barriere di cemento e roccia a protezione della più importante base navale inglese. Un’opera difensiva mastodontica che richiedeva una grande quantità di manodopera: ben 1.300 italiani raggiunsero le isole dal 1942 al 1945. Duecento di loro erano alloggiati a Lamb Holm, nell’accampamento 60.
Si fa fatica oggi, abituati alle comodità moderne, a immaginare quanto difficili fossero le condizioni di vita al campo, dove lo squallore dell’accampamento e il clima deprimente non facevano che mettere ulteriormente alla prova il morale dei soldati, già prostrati dalla fatica e dalla lontananza da casa. Cosa fare per impegnare la mente in qualcosa di positivo? A cosa aggrapparsi per lenire la nostalgia e per sanare le ferite dell’anima?
Piano piano i prigionieri cominciarono ad abbellire le baracche, a sistemare le strade piantando fiori; costruirono pure un teatrino e un biliardo, recuperando così, in parte, quel lontano ricordo di una quotidianità che erano abituati a vivere prima della guerra. Confinati in un posto inospitale, dimenticato da Dio, come trovare conforto? La risposta spontanea fu la costruzione della chiesetta per concretizzare quel bisogno tutto umano, in una situazione di guerra, di sentire vicina la presenza di Dio.
Fu Domenico Chiocchetti, originario di Moena, in Trentino, a ideare e progettare la Cappella. Fu quel gruppo di compagni di prigionia che lo aiutò a realizzarla. Con quel poco che avevano, non c’era né pietra né legno, iniziarono mettendo insieme due baracche semi cilindriche di lamiera che vennero poi riadattate con l’utilizzo di materiali recuperati dai relitti delle navi, tanta voglia di fare e inventiva. L’artista si concentrò sulla parte dell’abside che lui stesso affrescò con un’immagine della Madonna con Bambino, copiandola da un santino che aveva portato con sé.
La chiesetta venne arricchita in seguito di un piccolo campanile e di guglie gotiche. Ecco che, grazie all’ingegno e al senso artistico di Chiocchetti e compagni, l’informe materiale bellico si era trasformato in un luogo di pace e raccoglimento. Se la guerra disumanizza, loro riaffermano la loro umanità nella misura in cui resistono ai sentimenti distruttivi e alla rabbia, e si impegnano invece nella costruzione di un’opera di condivisione e fratellanza: in questo consiste il miracolo del Campo 60.
L’eredità di Chiocchetti
A dimostrazione di quanto Chiocchetti avesse a cuore la sua opera, a guerra conclusa restò altri dieci giorni a Lamb Holm per portare a termine l’acquasantiera. Negli anni ci tornò varie volte. Un profondo affetto lo legava a quelle isole. Furono gli orcadiani stessi che nel 1960 lo richiamarono per eseguire dei primi lavori di manutenzione. Venne accolto con tutti gli onori del caso e la cerimonia di riconsacrazione della chiesetta venne trasmessa sia dalla BBC che da Radio Rai. Ci tornò nel 1964 con la moglie, portando in dono le stazioni della Via Crucis intagliate nel legno a Moena. In una lettera aperta, lasciò in eredità agli isolani la chiesetta: «La Cappella è vostra affinché la amiate e manteniate. Porto con me in Italia il ricordo della vostra gentilezza e meravigliosa ospitalità. Vi ricorderò sempre, e i miei figli impareranno da me ad amarvi».
Dopo la scomparsa del padre, nel 1999, è stata proprio la figlia Letizia a raccogliere il testimone, diventando presidente onorario del Comitato di preservazione della Cappella. «Sognavo da tempo di visitare le Orcadi. Ricordo di averne esaminato ogni angolo. Entrando poi nella Cappella, sono stata presa da una grande emozione» ci racconta Letizia, di quando, a 19 anni, si è trovata per la prima volta di fronte all’opera di cui aveva tanto sentito parlare suo padre, che era bravo a «narrare le vicende della vita come fossero fiabe, avventure. Del periodo trascorso al Campo 60 e del lavoro che aveva fatto insieme ai suoi compagni ci parlava spesso e ci sentivamo dei privilegiati a poter ascoltare le emozioni e le impressioni di chi aveva visto con i propri occhi quello che restava del campo di prigionia e di quello che aveva lasciato lassù», conclude Letizia.
A tutt’oggi la chiesetta resiste grazie alla cura condivisa di scozzesi e italiani che se ne occupano con amore e dedizione. Per ultima, la restauratrice romana Antonella Papa, che nel 2015 e nel 2017 si è offerta di eseguire gratuitamente i lavori di restauro che si erano allora resi necessari. «In molti vennero a trovarmi mentre lavoravo, da ogni parte delle isole e dalla Scozia» ci racconta. «Ho ricevuto tantissimo affetto e gratitudine per quello che stavo facendo, ma nello stesso tempo ero io stessa a sentirmi onorata di essere lì e di poter esprimere la mia gratitudine facendo qualcosa di utile perché quel luogo prezioso potesse continuare a essere contemplato da tutti nel futuro».
Difficile non essere toccati da questa storia di pace e amicizia che da anni lega a doppio filo l’Italia alle Orcadi. Un miracolo che si ripete nella misura in cui ancora oggi è prova concreta di resilienza, della forza dello spirito umano di non cedere al naufragio, un simbolo di pace che trionfa sulle avversità.
La prossima data degna di nota è il 4 settembre 2024, ricorrenza che segna l’80esimo della partenza degli italiani dalle Orcadi. John Muir, abitante delle Orcadi e presidente onorario del Comitato di preservazione della Cappella, ci anticipa che verrà organizzato un evento a cui verrà invitata tutta la famiglia di Domenico Chiocchetti.
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