Il libro della visione
Perché una giovane e brillante chirurga oncologa, Eva, lascia la pratica medica e si dedica alla storia della medicina? Per due motivi. Primo. Una malattia cardiaca che l’affligge. Secondo. L’infatuazione per la figura di un medico prussiano del ’700, Johan Anmuth, un clinico di corte ancora capace di ascoltare i suoi pazienti, di interpretarne i sogni, di capirne il disagio psico-fisico e di dispensare quella che ora chiameremmo una psicoterapia relazionale. Anmuth praticava salassi e consigliava polveri di corallo rosso e piante medicinali, ma non manipolava i corpi, li rispettava a distanza. Già allora prendeva però piede un altro tipo di tecnica, che nel nostro mondo contemporaneo è diventata imperante: la biomedicina. Il paziente è considerato per la malattia che ha (non per la persona che è) e il suo corpo è immaginato come un ingranaggio complesso (cui aggiungere o togliere una rotella o una vite), una rete di impulsi da misurare, una macchina da pulire, oliare, mettere sotto pressione o purificare da eccessi fluidi o materici. Niente da comprendere, tutto da spiegare. La comunicazione interpersonale è scarsa, difettosa, accidentale, scarsamente allenata, disturbata dall’interferenza delle macchine digitali, che progressivamente sostituiscono i sanitari nel fare diagnosi, prendere decisioni e attuare terapie.
In un gioco di specchi, Carlo S. Hintermann, il regista di The book of vision (Italia, Gran Bretagna, Belgio, Germania 2020) fa recitare a ogni attore principale una doppia parte: l’Eva moderna ha lo stesso volto di Elizabeth von Ouerback, la delicata e sensibile nobildonna, moglie del generale von Ouerback, madre del diligente, impettito Günther e del curioso, poetico Valentin (e in attesa di un terzogenito). Il rettore cardiochirurgo ebreo Baruch Morgan (il medico di Eva) ha le sembianze del famoso Johan Anmuth, il clinico della famiglia nobiliare von Ouerback, tanto sagace nelle sue osservazioni quanto destinato a essere frainteso e a venir sostituito da un collega più interventista, rampante e naturalista.
Viene così rappresentata sullo schermo una contrapposizione antica, miope quanto pericolosa, tra corpo e mente, tra organismo e anima, tra cognizioni biologiche e affetti personali. Anmuth intuisce la radicalità del cambiamento e annota nei suoi preziosi diari, trattati ed epistole (il book of vision del titolo) le minute osservazioni anamnestiche, i diari clinici, le splendide immagini, le formule nascoste delle verità morali che i microscopi scientifici non riuscivano più a vedere. Eva si innamora di queste icone, le sottrae persino dal museo, le cataloga e studia con pazienza. Ella vive dentro di sé il conflitto tra umanesimo ed empirismo, trovandosi confrontata a importanti dilemmi etici: continuare le ricerche oncologiche o dedicarsi alla storia della medicina? Accogliere le avances dell’amico e tutor Henry oppure restare single? Abortire oppure condurre una gravidanza a rischio? La vicenda settecentesca costituisce, poco alla volta, il precedente esemplare per il discernimento contemporaneo. Questo, del resto, è il privilegio del cinema di qualità: confezionare storie che ampliano la nostra capacità d’identificazione, affinano la sapienza casistica, preparano a situazioni inattese e salvano il linguaggio dalla muffa del tradizionalismo. Viceversa, la comprensione del passato è possibile solo se attuiamo una fusione di orizzonti con chi ci ha preceduto, ha assunto decisioni responsabili (magari disprezzate e censurate) e ha preconizzato i dilemmi con cui oggi ci scontriamo.
Il film di Hintermann, prodotto dal grande regista visionario Terrence Malick e girato per lo più in Trentino-Alto Adige, è appunto un favoloso libro di visioni. Due trame temporalmente lontane si intrecciano, scorrendo avanti e indietro e segnalando che il bene trascende le epoche e si reincarna come in un gioco. Ci sono sequenze indimenticabili: la malinconica nobildonna si stende sulla calda chaise longue illuminata da candelabri e poggiante su un parquet fantastico; un ragazzo elegantemente vestito entra in un lago; le cere anatomiche del museo universitario custodiscono la bellezza dei parti; uomini-albero neri come la pece si muovono dentro le radici di grandi tronchi secolari; gli impulsi erotici alimentano penetrazioni tra vita umana e vegetale; scanner automatici carezzano le pagine di libri antichi e ne diffondono le profezie. Per chi vive d’immaginazione, non c’è barriera tra sogni e realtà. La seta onirica, che vela le notti, non spaventa chi ama i suoi figli e si racconta da capo, con l’aiuto di narratori visionari.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!