Il pozzo della pace
Abitare a Mora, città nella regione dell’Estremo nord del Camerun non è mai stato facile. È come vivere su un invisibile confine, dove poveri contadini si contendono con il deserto la terra coltivabile, in un duello sfiancante e impari. Dalla loro produzione di miglio dipende la sopravvivenza della popolazione, mentre la loro sconfitta sul deserto porterebbe interi villaggi a emigrare, in cerca di terra ancora coltivabile e di un po’ d’acqua buona da bere. Suor Lucia Gallo della Congregazione delle suore di San Giuseppe di Cuneo, responsabile delle missioni in Italia, è stata in Camerun oltre dieci anni dal 2002 al 2014, fino a quando le incursioni violente del gruppo fondamentalista Boko Haram, proveniente dalla Nigeria, hanno costretto tutti i missionari occidentali ad andarsene per non diventare possibili bersagli o moneta di scambio: «Anche da noi a presidiare la missione sono oggi quattro suore africane, guidate da suor Justine Souké. Grazie al loro coraggio e determinazione siamo in grado di continuare la nostra opera educativa e l’aiuto alle famiglie più povere».
Una missione in salita, perché la situazione climatica è sempre più insostenibile: «Prima la stagione secca durava nove mesi – racconta suor Lucia –, ma poi i contadini sapevano di poter contare su tre mesi di pioggia, durante i quali producevano il miglio per il resto dell’anno. Oggi piantano il miglio, ma in molti casi inutilmente, perché le piogge non sono regolari e spesso, quando arrivano, diventano acquazzoni violenti che distruggono tutto. Non solo i raccolti, ma anche le case e le strade di terra, modificando i villaggi e la loro organizzazione. Per questi motivi anche il nostro primo convento a Mora non è più raggiungibile e abbiamo dovuto spostarci in un altro quartiere della città».
Il cambiamento climatico ha reso ancora più difficile procurarsi acqua potabile: le falde sono sempre più profonde e i pochi pozzi sono presi d’assalto: «Le donne e soprattutto i bambini devono fare 2 o 3 chilometri a piedi e poi aspettare per ore il loro turno in lunghe file. I nostri bambini e le nostre bambine già prima di venire a scuola si sono alzati prestissimo, verso le quattro del mattino, e hanno procurato l’acqua. Anche le mamme si alzano a quell’ora per andare nei campi. È una vita molto sacrificata e incerta».
È in un contesto così difficile che le suore di San Giuseppe, nell’aprile del 2021, hanno chiesto a Caritas sant’Antonio di costruire un pozzo vicino al nuovo convento di Mora, alimentato a pannelli solari e con tre condotte di distribuzione, per un valore di 28 mila euro. L’opera caritativa dei frati ha accettato e il pozzo è stato completato la scorsa estate: «L’accesso all’acqua è una gioia per tutti – testimonia suor Lucia –: non solo i nostri bambini possono concentrarsi sulla scuola, ma l’intera popolazione del quartiere beneficia del pozzo delle suore, incluse le famiglie di sfollati, fuggite dai villaggi più a nord a causa della siccità o delle violenze di Boko Haram».
Essere presenti in queste periferie abbandonate significa promuovere la vita, soprattutto dei più giovani, futuro del Paese, ma anche evitare l’abbandono dei luoghi e l’inizio di percorsi di emigrazione, causa di lutti ed emarginazione in Africa e in altre zone del mondo. «La nostra presenza in Camerun – conferma suor Lucia – assicura una preparazione scolastica di qualità, il sostegno scolastico per i ragazzi dei villaggi più lontani, ma anche il lavoro con i giovani nelle parrocchie. Fondamentale per noi è anche l’organizzazione delle attività caritative insieme alla comunità musulmana e a quella dei credenti della religione tradizionale, per testimoniare prossimità e condivisione».
In un posto in cui regna la povertà e in cui i conflitti covano sotto la cenere, un pozzo non è solo un pozzo, è un simbolo di gratuità, un luogo di incontro e di bene, dove ogni goccia alimenta la vita e sostiene la pace. MUn pozzo in una zona semidesertica dell’Africa e in un tempo di cambiamenti climatici non garantisce solo l’accesso all’acqua, ma diventa il modo più efficace di promuovere lo sviluppo e fermare l’emigrazione per sete.
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