Il Santo: una comunità speciale
La comunità dei frati del Santo è sempre stata una delle più numerose dell’Ordine. Fin dai tempi di san Francesco si registra una presenza a Padova, che diventa sempre più consistente soprattutto dopo la morte di sant’Antonio. Negli archivi si fa menzione del numero di religiosi del convento, che fluttua a seconda del periodo, arrivando a superare anche le 100 unità. Per quanto grande sia la struttura, una quantità così ingente di «bocche da sfamare» risulta non sempre sostenibile. Per questo, nel 1594, il generale dell’Ordine, fra Filippo Gesualdi, impone una limitazione: «Il numero delli collocati in questo Convento del Santo sia di 80 tra tutti quelli c’hanno le bocche». Se sono di più, il convento rischia la rovina, come lamenta anche il doge nel 1600, dicendo di far rispettare la disposizione del generale, dato che c’erano in quel momento ancora più di 100 presenze.
Inoltre, quello del Santo è sempre stato un convento di passaggio, specialmente in alcuni periodi dell’anno, come il mese di giugno, per le festività antoniane, quando giungevano molti frati per aiutare nelle celebrazioni e nelle confessioni (si ricorda, ad esempio, che nel 1600 c’erano più di 150 frati forestieri per la festa del Santo). A parte qualche breve periodo, la comunità del Santo è stata sempre ricca di religiosi: nonostante soppressioni, epidemie, crisi interne che avrebbero potuto farla affondare, si è sempre risollevata. Un segno della particolare attenzione di sant’Antonio nei confronti dei suoi confratelli.
Ma com’è strutturata la comunità dei frati? Il suo organo più importante è il capitolo, formato da tutti i frati del convento. Già san Francesco aveva stabilito che fosse il capitolo generale (all’inizio, l’assemblea di tutti i frati dell’ordine, poi una rappresentanza) a eleggere il ministro generale (superiore dell’intero Ordine); poi si sono affermate giurisdizioni regionali (le province e le custodie) e locali (i conventi), ciascuna con il proprio capitolo. A quest’ultimo spetta l’autorità principale, sia nell’Ordine che in tutte le sue parti: ad esempio, il capitolo può decidere di deporre il superiore, se non è ritenuto «idoneo al servizio e al comune bene dei frati» (cfr. Regola Bollata).
Tuttavia, tale organo non può esercitare quotidianamente la sua autorità: per questo dà mandato ad alcuni frati di occuparsi del governo. Questo ruolo, storicamente, si basa su tre aspetti fondamentali, validi in particolare per il convento del Santo: l’elezione del superiore fatta dai frati, la rotazione degli incarichi e lo spirito di servizio. Il primo aspetto, del tutto ordinario per quanto riguarda il ministro generale o i ministri provinciali, era un privilegio del convento del Santo, confermato anche da papa Sisto V: erano i frati della comunità a eleggere il loro guardiano (così si chiama il superiore del convento). Dal 1929 le cose sono cambiate, in quanto la nomina del rettore della Basilica del Santo, che è anche il guardiano del convento, è pontificia.
Il secondo aspetto è una traduzione concreta della minorità: ogni frate è chiamato a non attaccarsi al proprio ruolo. Per questo è previsto che, alla scadenza del suo mandato, lasci l’incarico che gli è affidato; sapere di avere un tempo limitato è anche uno sprone per dare il meglio di sé in quell’impegno. Infine, ogni incarico è un servizio: in particolare, coloro che sono messi a capo della comunità vengono chiamati da san Francesco «ministri e servi», per sottolineare il modo in cui sono chiamati a vivere il loro ruolo. Nella storia, tuttavia, non sono assenti gli attaccamenti al comando, anche tra figure illustri. Si ricorda, ad esempio, la questione del provincialato di padre Antonio Trombetta: dopo 11 anni di governo, i frati del Santo scrivono una protesta al generale, che ne vieta la rielezione. Il guardiano del Santo, padre Moscardo, si appella però al Papa di nascosto per togliere il divieto; quando la cosa si viene a sapere, i frati in capitolo, pieni di sdegno, non lo rieleggono. Ma il loro risentimento non perdura: i frati, infatti, tornano in buoni rapporti, ammirando padre Trombetta al punto da eleggerlo, qualche anno dopo, come generale.
Data la posizione che la comunità del Santo aveva all’interno dell’Ordine francescano, particolare era anche il procedimento per la selezione dei suoi frati. Il candidato, che poteva provenire da qualunque Paese, veniva presentato dal superiore del convento del Santo ai religiosi della comunità, riuniti in capitolo, dando le informazioni che aveva in merito alla sua persona; i frati avevano sei giorni di tempo per investigare sul candidato, dopodiché erano chiamati a votare per l’accettazione (esclusi dal voto gli eventuali parenti). Se veniva accolto, diventava «figlio del convento».
Il fascino esercitato dalla presenza di sant’Antonio, insieme al prestigio culturale e spirituale del luogo, faceva sì che molti religiosi anche di altre nazioni chiedessero l’affiliazione al Santo; purtroppo ciò ha dato luogo, in qualche occasione, alla cosiddetta «vendita delle figliolanze», cioè al favore all’accettazione del candidato in cambio di un compenso. Questa modalità di ingresso, nel tempo, è notevolmente cambiata: oggi è il ministro provinciale a definire le composizioni dei conventi, anche di quello del Santo, avvalendosi del parere dei frati che formano il suo consiglio.
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