Affrontare le fatiche del cammino
Dal libro dei Numeri (Nm 12,1-15)
In quei giorni Maria e Aronne parlarono contro Mosè, a causa della donna etiope che aveva preso. Infatti aveva sposato una donna etiope. Dissero: «Il Signore ha forse parlato soltanto per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro?». Il Signore udì. Ora Mosè era un uomo assai umile, più di qualunque altro sulla faccia della terra. Il Signore disse a un tratto a Mosè, ad Aronne e a Maria: «Uscite tutti e tre verso la tenda del convegno». Uscirono tutti e tre. Il Signore scese in una colonna di nube, si fermò all’ingresso della tenda e chiamò Aronne e Maria. I due si fecero avanti. Il Signore disse: «Ascoltate le mie parole! Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui. Non così per il mio servo Mosè: egli è l’uomo di fiducia in tutta la mia casa. Bocca a bocca parlo con lui, in visione e non per enigmi, ed egli contempla l’immagine del Signore. Perché non avete temuto di parlare contro il mio servo, contro Mosè?».
L’ira del Signore si accese contro di loro ed egli se ne andò. La nube si ritirò di sopra alla tenda ed ecco: Maria era lebbrosa, bianca come la neve. Aronne si volse verso Maria ed ecco: era lebbrosa. Aronne disse a Mosè: «Ti prego, mio signore, non addossarci il peccato che abbiamo stoltamente commesso! Ella non sia come il bambino nato morto, la cui carne è già mezza consumata quando esce dal seno della madre». Mosè gridò al Signore dicendo: «Dio, ti prego, guariscila!». Il Signore disse a Mosè: «Se suo padre le avesse sputato in viso, non ne porterebbe lei vergogna per sette giorni? Stia dunque isolata fuori dell’accampamento sette giorni; poi vi sarà riammessa». Maria dunque rimase isolata, fuori dell’accampamento, sette giorni; il popolo non riprese il cammino, finché Maria non fu riammessa.
Imprevisti, inciampi, errori, punizioni…
Noi francescani siamo un po’ abituati a parlare (e sentir parlare) di lebbrosi. Credo conosciate tutti infatti il famoso episodio in cui san Francesco, all’inizio del suo cammino dietro al Signore, incontra e abbraccia il lebbroso, nella piana di Assisi. Un avvenimento centrale per la sua vita, che resta una pietra miliare simbolica per il cammino di ogni francescano, fino ad oggi. Anche in questo brano biblico ci troviamo di fronte a una lebbrosa, Maria. Cosa le accade in questo capitolo del libro dei Numeri? All’inizio del brano Maria (assieme ad Aronne, anche se, chissà perché, solo a lei è dato di attraversare questa esperienza…) giudica Mosè, dice «anch’io sono un profeta di Dio, anch’io posso guidare il popolo!». E cosa fa Dio? La fa diventare lebbrosa! Ci sembra allora di avere di fronte il Dio dei fulmini lanciati, un po’ come Zeus dall’Olimpo. In questa interpretazione la lebbra è vista coma una punizione. Spesso, infatti, l’Antico Testamento sembra rispecchiare bene i nostri pensieri, i nostri schemi, i nostri modi di interpretare ciò che accade nel mondo.
Il primo modo di interpretare la realtà
C’è dentro di noi infatti una vocina che ci dice che la lebbra, che possiamo interpretare come il male inaspettato che ci accade nella vita, quello che ci rovina i piani, ecc… è anzitutto una punizione di Dio per una colpa che abbiamo commesso. Altre volte, se non vogliamo proprio dare la colpa a noi stessi, o a Dio, lo interpretiamo come qualcosa che comunque non dovrebbe esserci, un inciampo, un errore, una sfiga. In ogni caso è un problema da risolvere, qualcosa che si mette tra me e la vita, tra me e la mia realizzazione, tra me e gli altri, tra me e Dio in definitiva. Se leggiamo la «lebbra» in questo modo è perché lo schema che usiamo per interpretare ciò che ci accade nella vita ci dice che il cammino è sempre in avanti, la corsa è sempre verso l’alto, e io devo di volta in volta migliorare, crescere, maturare, diventare più bravo, più santo, più giusto, più buono… andare verso l’alto, perché è là in alto che si trova Dio. Entro questo schema, infatti, quando accade qualcosa che mi fa lo sgambetto e mi fa tornare indietro, qualcosa che mi impedisce di andare avanti, subito ci viene naturale interpretarlo come un errore, un problema, qualcosa che rallenta la nostra corsa verso l’alto, qualcosa dunque che ci allontana da Dio.
L’esperienza di Francesco rovescia la prospettiva
Se guardiamo bene la realtà dell’esperienza umana, però, i conti non tornano. Prendiamo l’esempio di Francesco d’Assisi. Anche lui ha sempre avuto in giovinezza l’anelito ad andare in alto, a crescere, a migliorare, a vincere! Eppure tutte le volte che ha cercato di andare in alto, in realtà, ha perso: era diventato il re delle feste di Assisi, ma era triste; si è buttato nella battaglia contro Perugia, e viene imprigionato; parte per la crociata, per diventare cavaliere, e già il secondo giorno entra in crisi e torna indietro… D’altra parte, incredibilmente, l’unica volta che si è messo tutto sconsolato, smarrito, confuso, «perdente», ad andare verso il basso, a camminare come un fallito verso la piana insalubre di Assisi, proprio in quell’occasione, nell’incontro con il lebbroso, ha trovato la vita! Questo è il paradosso del Signore.
I passi di Maria
Torniamo al libro dei Numeri: cosa succede a Maria? Lo rileggiamo ora da una prospettiva diversa, quella di Dio. E possiamo così individuare quattro passi.
Primo passo: innalzare sé stessi
Anzitutto notiamo che il punto di partenza accade quando Maria «si è innalzata», si è portata in alto, al pari di Mosè, al comando del popolo. A guidarla è il suo orgoglio, forse la sua invidia per la posizione di Mosè. Forse sente di valere poco agli occhi di Dio? Forse ha bisogno di dire a sé stessa, al popolo, a Dio stesso, che anche lei vale, che anche lei è all’altezza? Per fare questo schiaccia Mosè, lo giudica, lo accusa… Questi sentimenti, che Maria si porta dentro, la spingono a trattare male Mosè, proprio lui che, dice il brano, «era il più umile di tutti gli uomini»! Si tratta quindi di una questione interiore di Maria, che fa vivere male lei stessa e fa vivere male gli altri intorno a lei. Eppure agli occhi di Maria, il problema è solo Mosè!
Secondo passo: lo sgambetto di Dio
All’improvviso Dio le fa uno sgambetto: ecco Maria diviene lebbrosa. Cosa significa? Significa che Dio porta all’esterno il male che Maria si porta dentro. Prima il suo male era celato nei suoi pensieri, chiuso dentro il suo cuore, ora è portato a evidenza. La Scrittura ci consegna un’immagine molto cruda, che ci fa ribrezzo, per descrivere questa sua situazione: ora Maria è bianca come un cadavere, come «un bambino nato morto, la cui carne è già mezza consumata quando esce dal seno della madre». Il male che ci portiamo dentro è sempre sinonimo di morte: non sgorga vita da lì, né per noi, né per chi ci sta intorno.
Terzo passo: il contatto con la propria lebbra
Il terzo passo è forse il più terribile: vedere sulla propria pelle la propria morte, guardarsi allo specchio e riconoscere un cadavere in decomposizione. In quel momento, infatti, Maria prende contatto con sé stessa, la sua interiorità, il suo cuore più profondo. Maria scopre chi è veramente: una persona che talvolta sa seminare «morte» nella propria vita e in quella degli altri. Dio, in questo modo, la costringe a prendere contatto con il suo male, i suoi casini, la sua lebbra. Si tratta di un momento estremamente doloroso, difficile, che tutti noi vorremmo evitare a tutti i costi. Eppure proprio da lì bisogna passare…
Quarto passo: l’esperienza di Dio
Infatti è proprio dentro questa esperienza terribile e dolorosa che abita il Signore, è lì che Dio interviene, con la sua misericordia. Nel caso di Maria interviene proprio attraverso l’intercessione di quell’uomo che lei aveva disprezzato: Mosè intercede per lei e Dio accorda la guarigione. A questo punto non si tratta tanto di una guarigione fisica. Per Maria la guarigione significa aver fatto l’esperienza profonda del proprio niente e del tutto di Dio.
Il paradosso di Dio
Celato in questi passaggi c’è il paradigma di ogni cammino dietro al Signore, quello di Maria, quello di Francesco, quello di ciascuno di noi. Nascosto in questi quattro passi c’è il paradosso di Dio. Secondo il paradosso di Dio, la lebbra diviene il luogo dell’incontro con lui, lo spazio in cui io sono davvero io, e Dio è davvero Dio. La lebbra (intesa in questo modo) è l’opportunità più grande che abbiamo per incontrare il Signore, per avere indietro quella vita che ci è stata tolta e che il Signore vuole donarci in abbondanza. Questo è il punto nevralgico, stupendo e insieme terribile della nostra fede: Dio si incontra davvero andando in basso, andando indietro, andando dentro, attraversando tutta la nostra miseria. Lì dentro è nascosta la fonte della vita.
Un avvertimento per chi è in cammino
Cosa ci dice tutto questo? Per voi, giovani in ricerca vocazionale, per tutti noi che siamo in cammino dietro al Signore, questo brano risuona allora come un avvertimento molto chiaro. Questi quattro passi sono quelli che dovrete attraversare se deciderete di seguire il Signore, in qualunque strada vocazionale vi incamminerete. Voi crederete di dover andare sempre di bene in meglio, di crescere, di diventare più santi, ecc… e invece vi troverete a fare i conti con il peggio di voi che piano piano emerge, che viene in superficie. Tutte le paure più nascoste che avete nel cuore, tutte quante ad una ad una si materializzeranno davanti a voi. Mettetelo in conto. Ma, quando vi accorgerete di questo, benedite il Signore con tutta la vostra voce, perché quello sarà il vero momento della grazia, garanzia che il cammino è buono, che Dio è all’opera in voi e con voi!
La stessa esperienza di Cristo
La nostra più grande consolazione in questo è la certezza che anche per il Signore Gesù il cammino percorso è stato lo stesso. Lo stesso Gesù infatti «imparò l’obbedienza da ciò che patì» (Eb 5,8): imparò ad essere figlio, imparò chi era davvero lui, il Figlio amato, e chi era davvero il Padre, proprio da quello che patì, cioè dentro l’esperienza terribile dell’umanità, del rifiuto, della passione, della Croce. Lì, nel punto di maggior distanza da Dio, lì ha incontrato davvero il Padre, lì è stato definitivamente il Figlio, lì ha detto in maniera definitiva che Risurrezione e salvezza (cioè andare verso l’alto) si fa attraverso la discesa agli inferi (cioè verso il basso, attraversando le proprie lebbre).
Quante volte?
Se accettiamo questa logica paradossale di Dio, ci viene subito da sperare che almeno si tratti di un passaggio temporaneo, veloce, il prima possibile, una volta per tutte. Anche qui mi dispiace dover deludere le nostre aspettative. Leggendo il brano scopriamo che per Maria è necessario rimanere almeno sette giorni in questa condizione, fuori dall’accampamento, nella sofferenza e angoscia, prima di sperimentare il quarto passo. Anche Francesco inizia certamente a sperimentare questa dimensione nell’abbraccio al lebbroso, ma poi ci mette una vita intera a comprenderla fino in fondo. Come fare? Come non perdersi d’animo? Ancora una volta è Francesco a darci una chiave decisiva. Lui sa che è in Cristo l’esperienza fondamentale. Il paradigma totale di tutto questo è nel Signore Gesù, nel suo Vangelo la chiave per comprendere e attraversare il paradosso di Dio.
Per questo Francesco, ripetutamente, per tutta la sua vita, sale sui monti, cerca le fenditure della roccia, e si nasconde là dentro. Lo fa immaginandosi di nascondersi dentro le piaghe di Cristo, quei segni che in maniera plastica raccontano l’esperienza diretta di Gesù, del Figlio di Dio. Passa giorni interi là dentro, per stare dentro quella dinamica, per farla propria, per assaporarla, per resistere alla tentazione di scappare lontano. Francesco arriva perfino a incarnarla lui stesso, quando sul monte della Verna riceve le Stimmate, riceve nella carne i segni stessi di questo trapasso, fino a diventare lui stesso visibilmente piagato, lebbroso. Trasformando così in ferite luminose quei buchi di morte che ci portiamo dentro.
Un cammino possibile solo con la grazia di Dio
Allora chiediamo al Signore, per voi in questi primi passi del cammino dietro al Signore Crocifisso e Risorto, per noi frati, nei nostri continui passi e ripassi dietro a Lui, di accogliere e riconoscere questa dinamica vitale dentro le vicende della nostra vita, nelle lebbre che ci portiamo dentro. Chiediamogli di non avere paura di ciò che scopriamo dentro di noi, di quando prendiamo contatto con le nostre schifezze. Chiediamogli di non scappare davanti alle nostre piaghe o davanti alle piaghe del Crocifisso, ma di riconoscere che dietro quel volto piagato c’è il volto di Cristo, c’è il volto di un figlio di Dio amato, noi e Lui. Chiediamogli di riconoscere che lì dietro c’è il luogo in cui fare l’esperienza più profonda e più vitale del mondo: «Io sono tuo figlio, tu sei mio Padre».
Questo è il Vangelo più grande, questo è il compito più arduo, che ci occuperà per tutta la vita, come Francesco. Buon cammino a tutti.
fra Nico – franico@vocazionefrancescana.org
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