Il Vangelo degli angeli
Chissà se chi scrive di Gesù, in realtà non lo faccia sempre per parlare di sé, dei propri interrogativi e dubbi esistenziali, sogni e progetti in corso, della ricerca di un senso alla propria vita?! Leggendo quest’ultimo romanzo di Affinati, una sorta di docu-fiction che dribbla tra fedeltà ai dati evangelici e invenzione romanzata, se ne ha una conferma.
Se poi l’autore è da sempre appassionato e coinvolto in prima persona nel campo dell’educazione e dell’accoglienza dei più giovani, la storia di Gesù diventa «buona» anche per riflessioni pedagogiche: le scelte, talvolta scomode, della vita, l’accettazione degli altri anche nella loro diversità, dono gratuito e gioia, fidarsi e rischiare. Soprattutto la fedeltà al reale, alla vita concreta: significativamente Affinati descrive il suo Gesù come chi «voleva stare nel mucchio», pur nella nostalgia della solitudine.
E tutto ciò non solo con un approccio confessionale, ma semplicemente umano. Semmai confessionale proprio perché umano: «Insegnami a vivere, in modo che possa continuare a credere», prega a un certo punto l’autore. Che dà il meglio di sé quando con coraggio si stacca dal dettato evangelico, introducendo personaggi o episodi fittizi, «laterali», ma che, del resto rispettosi e allo stesso tempo audaci, riescono ad aprire un ulteriore squarcio sul messaggio rivoluzionario di Gesù.
A cominciare dalla trovata «architettonica» dell’intero libro: e cioè il punto di vista degli angeli che, solerti e assolutamente presi dalla loro parte, svolazzano attorno a Gesù e agli altri personaggi sulla scena: «Fanatici delle missioni esclusive… fratelli dei perdenti, cultori della speranza», pronti a raccogliere anche il più flebile vagito, di bambino o animale che sia, per portarlo nelle alte sfere. Perché niente per Dio va perso.