03 Aprile 2022

Incontrarsi… in un sogno

Due cuori solitari che lavorano in un mattatoio di Budapest scoprono di fare lo stesso sogno ogni notte nel film «Corpo e anima» (Ungheria 2017) di Ildikò Enyedi.
Incontrarsi... in un sogno

Un uomo e una donna, entrambi giovani, single, taciturni, seriosi, solitari, si incontrano al mattatoio presso cui lavorano, alla periferia di Budapest. Lui, Endre, è direttore amministrativo. È un tipo alto che possiede uno sguardo carismatico. Lei, Mària, è una bella ragazza bionda addetta al controllo di qualità e svolge il suo lavoro con una riservatezza e una minuziosità religiose, schivando incontri, chiacchiere, inviti. I due personaggi, scossi da un’imprevista attrazione, decidono di aprirsi l’uno all’altra a costo di una conversione faticosa, che cambierà corpi e anime.

Si prendono cura l’uno dell’altra a partire dalle proprie ferite. Lei è ancora in trattamento da un neuropsichiatra infantile, soffre di blocchi relazionali, teme la vicinanza e le ferite affettive. Lui ha un braccio paralizzato, trattiene una rabbia antica, sta diventando indifferente al mondo. Una società vuota, ottusa e violenta come un macello ha inciso nelle loro carni i segni di traumi difficili da confessare. Per difendersi hanno imparato a congelare i sentimenti e a evitare la novità delle relazioni, l’azzardo di fiducia, la scommessa su un futuro liberato.

Gli animali siamo noi

La bioetica degli animali riceve nel film Corpo e anima (Ungheria 2017, regia di Ildikò Enyedi) un trattamento originale. In celle frigorifere silenziose e glaciali, in un’atmosfera asettica, analgesica e tecnologica si ripete ogni giorno il rito della straziante uccisione di bovini innocenti e muti. Lo strazio è morale, per quanto le procedure sacrificali siano rapide, efficienti, indolori. La carne d’allevamento è mostrata con una fotografia meccanicamente impietosa: le bestie sono ammassate, spinte, ingabbiate e avviate al supplizio; vengono poi incatenate, sollevate, spellate, sventrate fino a conferire ai tessuti un biancore innaturale, chimico, freddo; i pezzi anatomici sono tagliati in serie e predisposti alla crio-conservazione. Tutto come previsto. Tutto come se non accadesse niente di speciale.

Ma gli animali del film non sono una mera risorsa alimentare. Gli animali siamo noi. La sequenza iniziale rappresenta un cervo, maestoso nella sua possanza e nelle sue corna, e una cerva, che timidamente gli si avvicina. Si cercano silenziosi, si aspettano, annusano, toccano, sfregano, si riscaldano in un bosco invernale innevato, estraneo al tempo, immerso in una calma irreale. La loro affettuosità è pari al loro timore. Il piacere del contatto sfida le minacce dell’ambiente, dei cacciatori, della fame, del freddo. Diceva uno psicoanalista che un’esperienza non si è conclusa se non la si è sognata. Ma noi aggiungeremmo che, senza un sogno, non si può vivere e neppure si può iniziare un’esperienza, tantomeno una relazione sentimentale. Di sogni è fatta la nostra carne e anche il nostro eros, la nostra carità, la nostra amicizia. I due protagonisti scoprono di essere affettivamente legati quando apprendono di fare gli stessi sogni: essi sono con quei cervi, sono quei cervi nel bosco mentre cade la neve.

Scoprire la sessualità autentica, che freme di un nuovo respiro e chiede una trasformazione, un salto senza garanzie, coincide con l’accensione di un desiderio d’infinito. Desiderio di spazi aperti, di sogni liberi, di una musica da ballare, mai ascoltata, mai goduta prima. ​È composta dalla cantautrice folk britannica Laura Marling (classe 1990) la splendida canzone finale What he wrote («Cosa lui mi ha scritto»): «Mi ha tagliato la lingua... ha riso davanti ai miei peccati, o Signore… dovrei stare tra le sue braccia… ma ha dovuto andarsene, anche se l’ho pregato di restare… combattendo lui, combattendo l’alba… mi manca il suo odore». Un testo di dolcezza femminile estrema, esposta ai tagli dell’abbandono e del male, con echi religiosi.

 

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Data di aggiornamento: 03 Aprile 2022
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