Intervista a Erri De Luca: piccoli di fronte all’universo
Chi va montagna lo fa, spesso, per essere più vicino al cielo. Lui, al contrario, sale per allontanarsi. Perché, come ci dice, da lì si può vedere il mondo com’era e come tornerà a essere senza di noi.
De Luca, cosa ci racconta la montagna che altri luoghi non raccontano?
Si sta in un luogo magnifico dove la nostra taglia è di misura minima, circondata da immensità di spazio e di materia. Si sentono, con più precisione, la fragilità e la precarietà del nostro stare sulla superficie esposta del pianeta.
Quali memorie non possiamo perdere?
Il solo museo della montagna che ricordi il nostro passaggio è costituito dai resti e dalle trincee della Prima guerra mondiale combattuta nelle Alpi orientali. Lì si sono svolte le più assurde manovre militari, i più inutili sacrifici. Da frequentatore di quelle montagne ho visitato i segni lasciati da una gioventù spedita a morire in faccia alla più spudorata e indifferente bellezza.
Ha in mente un luogo, anche poco visibile, che conservi, in maniera spontanea, una memoria piccola, eppure significativa?
La cima piccolissima di Lavaredo. Sui suoi camini strapiombanti a nord il più grande alpinista di tutti i tempi, Paul Preuss, saliva da solo slegato fino in cima. Ho ricalcato i suoi passi cent’anni esatti dopo. Nelle cavità cupe di quella spaccatura ho sentito mischiare il mio fiato al suo.
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