Approdi. Chi legge avrà vissuto
L’Italia è un Paese estremamente arretrato per quanto riguarda i tassi di lettura. Nel popolo, che un tempo era composto tanto da poeti quanto da santi e navigatori, oggi sei persone su dieci non leggono neppure un libro all’anno e quasi il 50 per cento è analfabeta funzionale, cioè non sarebbe in grado di comprendere nemmeno questo articolo, perché l’analfabeta funzionale coglie solo il significato di frasi molto semplici, senza subordinate né particolari declinazioni verbali, e guarda i grafici senza capirli.
Non è vero che chi non legge compensa attraverso altre forme di apprendimento o di svago: tutti gli studi in merito hanno dimostrato che la fetta di popolazione che non apre i libri è la stessa che non entra nei musei, che va di rado al cinema, che non assiste a spettacoli teatrali e che meno pratica sport, perché è meno socializzata e non sa rapportarsi a chi ha strumenti di comunicazione e relazione più complessi. Questa metà di cittadini (con punte purtroppo molto più alte al Sud) non legge i giornali se non nei titoli e si forma opinioni soprattutto seguendo la televisione.
L’accesso all’informazione su internet, anche quando c’è, è fortemente condizionato dall’incapacità di controllare le fonti per distinguere il vero dal verosimile. Il danno alla democrazia derivato da una simile situazione di ignoranza è evidente: privi di strumenti per la comprensione del mondo, i non lettori italiani semplicemente «non sanno il mondo», non sono in grado di valutare quello che accade con la dovuta capacità critica e, se chiamati al voto, agiscono in maniera più emotiva e sono facilmente condizionabili. Considerato che cambiare le abitudini degli adulti è difficilissimo, l’unico posto dove si può porre rimedio a questi dati disastrosi è la scuola, dove nei giovani e nei giovanissimi i comportamenti culturali sono ancora tutti da farsi.
Uno Stato che volesse innalzare il livello democratico e la partecipazione pubblica alla vita del Paese dovrebbe avere quindi la promozione della lettura tra i suoi scopi principali e investirci ogni anno una consistente quota di risorse, finanziando progetti appositi e formando docenti specializzati in «appassionamento» alla lettura. Questo in Italia – ultima in Europa anche per investimenti nella scuola – non accade, ma per fortuna il fatto che i governi se ne disinteressino non significa che, nelle scuole, la promozione alla lettura non si faccia. Ogni anno, a causa del mio lavoro, incontro centinaia di studenti coinvolti in progetti di lettura e stringo le mani a decine di loro professori e professoresse impegnate a promuovere la passione per i libri nelle scuole superiori di tutta Italia. Benché siano tutti progetti meritevoli di investimento, quasi sempre sono fatti per pura passione, senza risorse economiche e con il tempo che avanza dalle attività ordinarie, nelle quali il posto della lettura non è mai quello del piacere scelto, ma è sempre obbligatorio e funzionale. In questa costellazione di ordinari miracoli, di quando in quando mi capita di incontrare situazioni che appaiono più speciali di altre, o perché portate avanti in condizioni di particolare difficoltà, o perché condotte con una quota di amore e dedizione che nessuno stipendio sarà mai in grado di ripagare.
Una di queste realtà particolari l’ho incontrata a Foggia al liceo Poerio, una scuola quasi esclusivamente frequentata da ragazze, dove si insegnano scienze umane, arti musicali, le lingue e i fondamenti dell’economia. Tra le sue mura ci sono Teresa ed Elisabetta, due professoresse appassionate di lettura, una d’inglese e l’altra di religione, che si sono inventate una serie di attività per rompere il muro di gelo tra i ragazzi e i libri. Hanno cominciato rivoluzionando la biblioteca scolastica, un luogo solitamente d’archivio per le migliaia di volumi contenuti, e l’hanno resa più amichevole e simile a una libreria, con l’idea di farne un posto aperto dove i ragazzi possono girare tra i titoli e sceglierli in autonomia, salvaguardando anche la loro libertà di scelta. Poche cose uno scrittore vivente teme di più dello scoprire che i suoi libri sono stati proposti in una scuola come lettura obbligatoria, perché tutti ricordiamo che gli autori che siamo stati costretti a leggere per ragioni didattiche li abbiamo poi evitati per tutta la vita.
Elisabetta e Teresa hanno smesso di obbligare i ragazzi ai libri, che è passaggio fondamentale per farli restare un piacere, ma hanno proposto attività interdisciplinari intorno alla lettura. Nel liceo ogni anno si organizza una «Festa del libro»: i titoli che i ragazzi hanno letto liberamente vengono presentati da loro stessi ai compagni in forme insolite e divertenti, attraverso le attività musicali che studiano o in presentazioni in lingua straniera che mettono alla prova anche la loro conoscenza delle lingue. Un piccolo investimento extrascolastico si fa perché alcune studentesse possano andare al Salone del Libro e fare piccoli reportage e, per alcune classi, la determinazione delle professoresse ha ottenuto l’opportunità di fare da interlocutrici in trasmissioni televisive dove si parlava di libri. Il risultato di questo lavoro silenzioso e gratuito lo capisci quando da scrittrice entri nella scuola e ti siedi davanti a loro, convinta di dover spiegare il tuo libro. E, invece, sono loro che lo spiegano a te, con intelligenza e capacità critica. Il lavoro misterioso dei docenti, quello che nessun contratto remunera, vale più di mille riforme intitolate alla buona scuola.