Servizio civile, scuola di cittadinanza

Il 6 marzo compie 15 anni il Servizio civile ed è più in forma che mai, nei numeri, nelle novità e nelle prospettive. Le criticità non mancano: bisogna vigilare affinché questa esperienza rimanga una palestra di crescita per gli enti e per i giovani.
10 Febbraio 2016 | di

Le annate del Servizio civile sono come quelle del vino: dipendono da molte variabili, possono essere buone o cattive, di qualità o di quantità. L’analogia serve per affermare una bella notizia: ci sono tutte le premesse affinché il 2016 passi come un anno speciale. Fecondo. Che segue un 2015 altrettanto positivo, di netta ripresa. Non tutto va a rotoli in Italia, insomma. Ma andiamo per ordine, con un paio di passi indietro utili a rinfrescare la memoria.

C’era una volta il servizio militare di leva. Poi qualcuno alzò la mano e disse: «Io non lo faccio, è contrario a ciò in cui credo». L’obiettore di coscienza pagò col carcere il proprio rifiuto, fino a che, nel 1972, l’Italia rese questa opzione legale: si può servire lo Stato con le armi o senza. Nel 2004, poi, la cesura: tramonta per i maggiorenni maschi l’obbligo di leva. Nel frattempo, nel 2001 era sorto l’istituto del Servizio civile, volontario (nel senso che per accedervi bisogna autocandidarsi), aperto a giovani uomini e donne dai 18 ai 26 anni (età poi alzata ai 28), italiani (ma dal 2013 anche stranieri). Rappresenta, come esplicita la legge, la possibilità di «dedicare un anno della propria vita a favore di un impegno solidaristico inteso come impegno per il bene di tutti e di ciascuno e quindi come valore della ricerca di pace». Ha tra le sue finalità «la realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale», la promozione della «solidarietà e cooperazione, a livello nazionale e internazionale», «la formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani». In circa 400 mila, fino a oggi, si sono messi alla prova in uno dei sei settori disponibili: assistenza, protezione civile, ambiente, patrimonio artistico e culturale, educazione e promozione culturale, servizio civile all’estero.

Arriviamo al presente. Il 6 marzo il Servizio civile compie 15 anni: non ha molta voglia di festeggiarsi, ma di crescere, questo sì, in consapevolezza e qualità e anche, perché no?, nei numeri. Che oggi sono tornati ai migliori livelli, lambendo il record dei 57 mila giovani del 2006. I fondi disponibili nel 2015 hanno permesso di avviare al Servizio civile poco meno di 50 mila giovani, a fronte del record di candidature, ben 170 mila. L’anno in corso dovrebbe confermare questo traguardo, anche se al momento sono assicurati stanziamenti, tra ordinari e straordinari, per 38 mila persone. Ma sembra solo l’inizio, stando alle dichiarazioni del premier Renzi, convinto sostenitore dell’istituto, che ha alzato l’asticella con due proposte: 100 mila giovani nel 2017 e, nel contesto della riforma del Terzo settore in discussione al Senato, Servizio civile universale. Che differenza fa? Significa che sarebbe aperto a tutti i giovani che ne facciano richiesta. Solo per fare un paragone: se fosse stato «universale» già nel 2015, avremmo avuto 170 mila giovani in servizio, anziché i 50 mila «eletti» (ma si è anche parlato, con una formulazione almeno curiosa, di «universale con tetto a 100 mila»).

Tutto bene quindi? Lo scenario è positivo, certo, ma i numeri possono anche ingannare. Ne abbiamo parlato con Licio Palazzini, presidente di Arci servizio civile (associazione che raggruppa Arci, Uisp, Legambiente, Arciragazzi e Auser) e soprattutto presidente della Conferenza nazionale enti per il servizio civile (Cnesc), che raccoglie i ventidue principali enti convenzionati del Terzo settore, tra cui Caritas, Acli, Unitalsi, Anspi, Avis, Federsolidarietà. «La situazione è incomparabilmente migliore rispetto all’avvio del 2012 e del 2013, quando ci si chiedeva: il Servizio sopravvivrà? Ora invece possiamo dire: bene, visto che vive, come deve vivere? Il 2016 ci pone la sfida della qualità. Le novità sono tante, si tratta di governarle, analizzando come l’innovazione si mescola con il consolidato e passando dalla teoria ai fatti».

Le novità e i nodi critici Nel 2015, al tronco del Servizio storico, quello partito nel 2001, si sono sommati altri progetti speciali: un bando è stato indetto nel contesto di «Garanzia Giovani» (il piano europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile), uno apposito per Expo, uno per il Giubileo, altri ancora sono stati proposti da singoli ministeri, infine sono stati istituiti i Corpi civili di pace. «Sono sperimentazioni interessanti – commenta Palazzini – di cui si sentiva la necessità, per dare più opportunità ai giovani e snellire le troppo lunghe procedure». Nonostante le buone intenzioni, i tempi non si sono granché accorciati. «Di prassi, da quando l’ente scrive il progetto a quando il giovane inizia a operare, passa un anno e mezzo. Con le nuove formule comunque si arriva all’anno. È un problema per qualsiasi organizzazione, perché le condizioni di partenza, sia interne all’ente che nel territorio, nel frattempo mutano». Tuttavia, all’estremo opposto c’è anche il rischio che si intenda il sistema del Servizio civile troppo blandamente, come un bancomat cui far ricorso con disinvoltura per qualsiasi esigenza. È un rischio, come sottolinea il presidente Cnesc: «Il Servizio civile è un processo, non uno spot. E se è un processo, tutti i soggetti coinvolti, per ottenere risultati positivi, devono viverlo come tale. Serve metodicità, applicazione, progettualità».

La questione progettualità è decisiva, ma sul lungo periodo è proprio uno degli elementi di fragilità del Servizio civile. Nel 2015-’16 si sono sommati alcuni fattori di slancio: una congiuntura generale favorevole; un presidente del Consiglio che crede nell’istituto; un sottosegretario delegato, Luigi Bobba, già presidente Acli, «metodico e di parola» riconosce Palazzini. Bene, ma tutto troppo «straordinario», quando invece servirebbero certezze anche a lungo termine. Per esempio: i fondi ordinari stanziati per il Servizio civile coprono l’invio di appena 20 mila ragazzi e ragazze; il resto oggi c’è, e bisogna esserne contenti, ma domani? Palazzini si cala nei panni di presidente della sua associazione per proporre un esempio: «Quando, intorno al 2006, partivano 40-50 mila giovani l’anno, avevamo messo in piedi un gruppo di una trentina di formatori. Li avevamo selezionati, affiancati, fatti crescere, avevamo dato loro progressivamente responsabilità… Con il drastico crollo dal 2008, adesso il team è ridotto a cinque membri. Ora si torna alle esigenze di dieci anni fa. Si fa presto a dire: assumo. Quale tipo di impegno prendo con queste persone? Con quale orizzonte? Magari tra sette mesi siamo da capo, e loro nel frattempo perdono altre opportunità… Noi investiamo, e volentieri, perché ci crediamo, ma lo Stato deve metterci nelle condizioni di programmare le attività oltre il limite dell’anno. Anche questo è un processo. E sulla qualità non siamo disposti a retrocedere».

Di conseguenza, va preso con le pinze il proclama dei 100 mila posti disponibili entro il 2017. Spiega Palazzini: «Preferiamo dire che a quel traguardo vogliamo arrivarci, ma non mettiamo una data. Anche perché non siamo disponibili a nessuna forma light, come va di moda. C’è chi ha già fatto il calcolo: 50 mila giovani a 12 mesi o 100 mila a 6 mesi il costo è lo stesso! In realtà non lo è». Oggi per un giovane del Servizio civile lo Stato investe 5.400 euro, impiegati quasi tutti per assicurare i 433 euro mensili percepiti come riconoscimento simbolico. Non si considera mai che ogni ente investe in ore lavoro degli operatori, attività di formazione e monitoraggio, sede e strumentazione, fino a 4 mila euro per ogni ragazzo, «ma qui – riconosce Palazzini – è colpa anche di noi organizzazioni: facciamo troppo poco per leggerci e valorizzarci».

In realtà poi il nodo non è nemmeno economico, bensì solo politico. Prosegue il portavoce del Cnesc: «Se l’obiettivo è far crescere una generazione di giovani capaci di essere cittadini attivi, è preferibile averne qualcuno in meno ma impegnarlo per un anno. Se invece ci si accontenta di raggiungere in modo epidermico e superficiale un numero più alto di persone, allora… I dodici mesi non sono un capriccio, ma il tempo necessario affinché i giovani acquisiscano competenze di cittadinanza, solidarietà, impegno civico, lavoro di gruppo, capacità di essere leader». Una vocazione che sembra essere ben presente almeno a parte del governo, stando a quanto afferma Luigi Bobba: «Gli attuali dirigenti delle associazioni sono parte di quella generazione che ha potuto andare in pensione con un’età in cui potevano ancora dare il loro contributo, mettendo a disposizione capacità e competenze. Dopo la riforma Fornero questo non è più praticabile. E allora il Servizio civile può essere uno strumento per formare i futuri dirigenti del volontariato». Sulla durata dei dodici mesi è intervenuto anche monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, commentando i dati del 2015: «È indubbiamente positivo il fatto che la durata dell’impegno sia rimasta di un anno, superando i timori di una sua sensibile riduzione: sia per il significato che tale esperienza assume nella vita di un giovane, sia per la sua natura, la brevità avrebbe contribuito a svuotarla della sua significatività e delle sue ricadute sulla comunità».

Al via i Corpi civili di pace Dal «laboratorio» del Servizio civile emergono anche altri interessanti progetti: la prospettiva del Servizio civile europeo, presentata dall’Italia a Bruxelles nel corso del semestre di presidenza europea; le nuove forme di impiego nella Pubblica amministrazione; la certificazione delle competenze acquisite dai giovani, che potrebbe diventare realtà. La novità più interessante tuttavia riguarda l’istituzione dei Corpi civili di pace, già previsti dal 2013, ma che nel 2016 vedranno la luce con l’invio a partire dall’estate dei primi 200 giovani. Il loro impegno è «svolgere azioni di pace non governative nelle aree di conflitto e a rischio di conflitto e nelle aree di emergenza ambientale», in Italia e all’estero, come si legge sul sito ufficiale Serviziocivile.gov.it. Dichiara Palazzini: «È un’esperienza simbolica, perché già l’intero Servizio civile è “di pace”. Si interverrà in zone che hanno appena visto la conclusione instabile di un conflitto armato, dove c’è la necessità di ristrutturare o creare infrastrutture di dialogo sociale, e di ricostruire la società civile organizzata. Si farà mediazione e riconciliazione, inoltre, per evitare che il conflitto deflagri. I Corpi civili di pace rompono un tabù, cioè che solo attraverso le forze armate si fanno le missioni di pace. Per ora è quasi una startup. Ma crescerà».  

ELENA MARTAUn anno guadagnato   Tra le più accreditate ricerche sul Servizio civile c’è quella proposta dall’Istituto Toniolo, nel contesto del Rapporto giovani. A curarla Elena Marta, ordinaria di Psicologia sociale e di comunità alla Cattolica di Milano. «La ricerca – esordisce la docente – ha indagato le percezioni dei giovani in merito alla proposta di Servizio civile universale (SCU)».

Msa. Che cosa è emerso?Marta. Sono risultati tre profili ben delineati per area geografica. I giovani del Nord riconoscono lo SCU come strumento per crescere e formarsi, ma non sono molto interessati a svolgerlo. I coetanei del Centro più degli altri dichiarano di vedere lo SCU come un mezzo per attivarsi per una giusta causa. I giovani del Sud lo vedono infine come uno strumento utile alla vita sociale e lavorativa. Questo quadro permette in percentuale maggiore ai giovani del Sud di essere interessati allo SCU (52,14 per cento), rispetto ai coetanei del Nord (22,98) e del Centro (37,07).

È fuorviante guardare al Servizio civile in prospettiva lavorativa? Non è certo un «lavoretto» o uno stage, anche se forse qualcuno può pensarla così. È invece un’occasione per acquisire competenze che potranno essere poi spese anche in un contesto lavorativo, e per imparare a conoscere le dinamiche lavorative e organizzative di una struttura complessa.

Il Servizio civile è stato definito «un anno guadagnato». È proprio così? Quali sono le ricadute per i giovani? Per i ragazzi gli effetti sono molto consistenti ed è davvero un anno guadagnato. In una precedente ricerca, rendicontata in Costruire cittadinanza (La Scuola 2012), era emerso che il Servizio civile aveva aiutato i giovani a sviluppare una presa di coscienza significativa, attiva e consapevole di sé e del proprio contesto; a costruirsi come cittadini attivi e promotori di integrazione; a cambiare in positivo l’immagine di sé e a sentirsi utili verso gli altri; a favorire l’avvicinamento tra generazioni.

Il Servizio civile potrebbe rimettere in circolazione energie positive anche per i neet? Sì, assolutamente. Io credo sia oggi una delle poche scuole di cittadinanza ancora esistenti.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017

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