Io sono europeo!
Del gruppo di bambini cresciuti insieme a me negli anni della Seconda guerra mondiale, e che di essa hanno sofferto scontandolo in paure e nevrosi, molti crescendo sono diventati migranti. Venezuela, Australia, Argentina, Belgio, Lussemburgo, Francia, Inghilterra, Germania sono state le loro principali destinazioni. Ho amici e parenti in quei Paesi, e anche i miei (padre, madre, sorella, fratello) dovettero emigrare nel 1957, quando io ero già a lavorare in Sicilia in iniziative che più tardi sono state definite di volontariato. Ho passato lunghi periodi della mia gioventù a Parigi e nella sua banlieue. Mio padre lavorava per un cantiere edile, portava le gru; mia madre era stiratrice in una lavanderia; mio fratello era operaio in una fabbrica di tappezzerie e lì conobbe sua moglie, del nostro paese, ma cresciuta in Francia; mia sorella era segretaria in un’altra fabbrica. Era diplomata maestra come me, mentre i miei erano semi-analfabeti e mio fratello non finì mai gli studi.
Ho un ricordo bellissimo delle adunate festive di amici di vicinato o di lavoro: algerini, spagnoli, polacchi, poi anche portoghesi. Ai quali io aggiungevo messicani e argentini, americani e africani. Quando avevo qualche franco da spendere (godevo di una borsa di studio... europea!) ne approfittavo per andare a ripescare parenti nella zona delle grandi miniere.
Sono europeo, anche se ho radici profonde in Italia, Paese che mi vanto di conoscere meglio di quasi tutti gli italiani, dalla Carnia al Salento, dalla Valle d’Aosta a Pachino, compresa, ovviamente, la Val Padana. So di essere europeo, e ne sento la responsabilità: perché so quanto l’Europa abbia sofferto per riuscire a unirsi dopo due guerre mondiali provocate dalle sue orrende borghesie e leadership nazionaliste.
L’invenzione dell’Europa dopo la Seconda guerra mondiale è uno dei grandi eventi di una storia, appunto, mondiale. Ed è stata pensata e resa possibile proprio dalla constatazione dei disastri precedenti.
Mi è impossibile non sentirmi europeo, pensando ai miei nipoti francesi, ai miei amici svizzeri, inglesi, tedeschi i cui genitori erano veneti, abruzzesi, calabresi, amici che hanno sposato giovani del posto o emigrati da altri Paesi. È di poche settimane fa la notizia della nascita di un bambino, Roberto, figlio di un amico svizzero nato a Tricarico e di un’amica svizzera nata in Aragona...
Che pena e che rabbia mi fanno coloro che sognano ancora frontiere e fanno di tutto per innalzarle nuovamente, per escludere e per dividere, per difendere fino al delirio il poco che hanno pur di non dover nulla dividere con chi arriva tra noi proprio perché non ha niente.
L’Europa è diventata, dopo le due guerre da essa provocate, una casa comune nonostante la diversità di lingue e costumi, e sempre più deve esserlo e sempre più lo sarà, in un’aperta comunanza di beni e di servizi e soprattutto di ideali, di morali, di vocazioni. Se ne ricordino i localisti, i sovranisti, gli egoisti. Chi non ha radici in un posto preciso e non sogna una casa di tutti, non avrà vita facile.
C’è la sfida di chi guarda in avanti e quella di chi guarda stupidamente all’indietro, ma i primi hanno dalla loro un sentimento più profondo della realtà e una conoscenza più cruda del passato, sanno di essere dalla parte del giusto e del futuro.