«Io sono fatto così!»

Comincia una nuova rubrica firmata dallo psicologo Simone Olianti, dedicata alle cosiddette «frasi fatte», modi di dire tratti spesso dalla tradizione popolare, tutt’altro che innocui, perché capaci di ingabbiare le nostre vite.
19 Gennaio 2024 | di

Alzi la mano chi non ha mai detto almeno una volta nella vita: «Io sono fatto così!». Credo che saremmo in pochi ad alzarla. Ci sono poi varianti abbastanza simili, che comunque sortiscono lo stesso effetto. Quella che va per la maggiore è sicuramente: «Questo è il mio carattere e non posso farci niente!». Oppure un’altra, un po’ più sofisticata: «Questa è la mia natura. Non mi sono fatto da solo!».  Ma quali sono le conseguenze, dal punto di vista relazionale, di questa che potremmo definire psicotrappola? Oppure, se preferite, inganno della mente? Che siamo scolpiti nella pietra, che siamo immodificabili e che non c’è niente da fare. Dal punto di vista della comunicazione, il messaggio che arriva è: «Io sono fatto così, non c’è niente da fare, quindi tocca a te accettarmi come sono». Insomma, il problema è tuo se non mi accetti così come sono, non mio, che non voglio cambiare. 

Pensate al peso di queste affermazioni in ambito coniugale o professionale: la sensazione di avere a che fare con una stalattite invece che con un essere umano. Se questa affermazione – «io sono fatto così!» – fosse vera, qualunque cambiamento, anche il più piccolo, sarebbe impossibile. C’è un assioma, non scritto, della comunicazione interpersonale, che merita di essere posto in evidenza: nella comunicazione non conta tanto l’intenzione, quanto il risultato; non conta, cioè, quello che vuoi dire all’altro, ma quello che all’altro arriva. E dire «io sono fatto così» equivale a esprimere una sentenza inamovibile e definitiva, che chiude alla possibilità di ogni apprendimento e miglioramento personale. 

Ma come stanno veramente le cose? Siamo davvero immodificabili? Le neuroscienze ci offrono una buona notizia: esiste la neuroplasticità, cioè la capacità del nostro cervello di modificare la propria struttura e la propria funzionalità ogni volta che apprendiamo qualcosa di nuovo e in relazione a stimoli provenienti dall’ambiente. Tutte le volte che impariamo qualcosa di nuovo, milioni di sinapsi, cioè di connessioni delle cellule neuronali, si formano, nuove di zecca, e cristallizzano gli apprendimenti acquisiti. In poche e semplici parole: il cervello è capace di cambiare e di modificarsi nel corso della vita. Certo, invecchiando questo processo è più difficile, ma comunque non è impossibile. Perché il cambiamento è sempre possibile e a ogni età. 

Bisogna però anche dire, e in questo mi riferisco alla mia lunga esperienza di accompagnamento delle persone in situazione di crisi, che per apportare cambiamenti significativi occorre soddisfare due condizioni di fondo. La prima è che per cambiare bisogna davvero volerlo fare. E questo io non lo do mai per scontato, per il semplice fatto che noi ci affezioniamo moltissimo alle nostre nevrosi, a ciò che abbiamo sempre fatto, ai nostri pensieri automatici, a ciò che ci dà sicurezza. Per quanto sia talvolta disfunzionale, preferiamo il solito e conosciuto modo di fare piuttosto che arrischiarci su vie inedite e sconosciute. La seconda condizione, importante quanto la prima, è che bisogna sapere dove mettere le mani. Solitamente le mani vanno messe nei pensieri automatici disfunzionali; e «io sono fatto così!» è proprio uno di quelli. 

Un’altra buona notizia è che la mente è duttile. Non c’è nulla che possa obbligarla a una sofferenza irrimediabile. Un cambiamento, anche minimo, nel modo di gestire il nostro pensiero, di percepire e interpretare il mondo, può trasformare la nostra esistenza. Alle volte basta un piccolo spiraglio di luce per desiderare di cambiare ciò che non funziona e che ci fa soffrire. Marcel Proust ce lo dice in maniera davvero suggestiva: «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel vedere nuovi paesaggi, ma nell’avere occhi nuovi». 

Cambiare lo sguardo, ampliare la prospettiva, esplorare nuove possibilità. Questo avviene quasi sempre in situazioni di crisi e di fallimento. Perché la crisi ti disinstalla dagli automatismi, ti mette in una condizione che non conosci e ti costringe a cambiare qualcosa, se non vuoi morirci dentro. Quanto siamo stolti e rigidi tutte le volte che diciamo «io sono fatto così!». Noi siamo quello che scegliamo di essere: non siamo blocchi di marmo. Il più grande ostacolo al cambiamento sono le autolimitazioni che ci poniamo, gli autosabotaggi della mente: «Sono troppo vecchio, non ho abbastanza soldi, non sono all’altezza, non ce la posso fare, la mia vita sarà sempre così, non ho tempo…». Litanie infinite che sfociano quasi sempre in lamentazioni sterili e puerili (come ho approfondito nel mio libro Scegli di vivere. Cambiamento e gusto della vita, EMP). 

Che cosa fare dunque? Un suggerimento concreto ed efficace è questo: se vuoi rendere migliore la tua vita, rendi prima migliori i tuoi pensieri su di essa e su te stesso. È una vera e propria metànoia (cioè un radicale cambiamento del modo di pensare, giudicare, sentire) a cui ci invita anche Gesù: se vuoi credere, prima apriti a un cambiamento di sguardo e di prospettiva, lascia andare le false e rigide sicurezze che imbalsamano la tua mente e schiudi le porte del cuore alla novità della vita. In fondo, la vita non è mai quello che dovrebbe essere, è quello che è; ma il modo in cui scegli di viverla fa la differenza.

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Data di aggiornamento: 19 Gennaio 2024

1 comments

19 Gennaio 2024
Congratulazioni per la nuova rubrica e davvero intteresante la ho letto piú volta. Mi sento identificata ,e dopo che avevo passato situazioni difficile ho decisso Cambiare lo sguardo e ampliare la prospettiva. ( imparo corso arte e lingua italiana ma fedele letricce della rivista il Messaggero.) .Grazie e invio unaffettusso saluto. da Montevideo. Arrivederci.
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di ANA MARIA

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